Corriere 7.10.15
I neutrini hanno una massa
Quei neutrini da Nobel L’eredità di Pontecorvo
di Paolo Giordano
I neutrini hanno una massa. Irrisoria rispetto a quella delle altre particelle e di origine ancora ignota. L’evidenza di questa massa è stata provata dagli esperimenti valsi il Nobel a McDonald e Kajita (nella foto l’osservatorio dei neutrini in Giappone, in una miniera a 1.000 metri sottoterra)
All’inizio degli anni sessanta John Updike, lo scrittore della saga di Coniglio, dedicò una poesia ai neutrini. S’intitola Cosmic Gall, «Sfacciataggine cosmica», e comincia così: «I neutrini son piccolini. / Non hanno carica né massa / e non interagiscono per niente. / La Terra per loro è una palla demente / in cui passare semplicemente».
La poesia di Updike, pur nella sua irriverenza (l’originale rima in continuazione con «ass»), contiene alcune verità sui neutrini e almeno altrettante falsità. I neutrini sono effettivamente privi di carica elettrica e interagiscono poco volentieri con la materia. Di tutte le particelle conosciute (elettroni, quark, fotoni...) sono le più capricciose, le più difficili da rilevare negli esperimenti, tanto che la loro presenza è assai più spesso evidenziata come deficit di qualcosa. Possono attraversare spessori ragguardevoli — la Terra stessa, come dice Updike — senza subire alcun cambiamento, tanto che ce ne piovono addosso in continuazione, circa cinquantamila miliardi attraversano il nostro corpo ogni secondo, senza che ce ne accorgiamo.
Ciò che Updike non poteva sapere è che i neutrini, per quanto fantasmatici, possiedono una massa, irrisoria rispetto a quella delle altre particelle note e la cui origine è ancora sconosciuta, ma comunque una massa. L’evidenza di questa massa è stata provata dagli esperimenti per i quali, ieri, Arthur B. McDonald e Takaaki Kajita hanno vinto il premio Nobel per la fisica. L’idea stessa di dimostrare che una particella capace di bucare un pianeta abbia un peso dovrebbe dare la misura di quanto gli esperimenti guidati da McDonald e Kajita negli anni novanta fossero delicati e complessi. Entrambi i laboratori esistono ancora: il Sudbury Neutrino Observatory (SNO) di McDonald in Canada, e Super-Kamiokande di Kajita in Giappone. Sono strutture di bellezza cinematografica: serbatoi di acqua pesante rivestiti in acciaio e punteggiati da migliaia di rivelatori, sferico il primo e cilindrico il secondo, dove gli scienziati entrano con tute sterili solo dopo essersi fatti la doccia. E sono interrati a profondità abissali per ridurre le interferenze. In una lezione a Berkeley, McDonald ha scherzato sul fatto che ogni Paese abbia bisogno di illustrare quelle profondità usando come scala un proprio monumento. Lui ha scelto l’Empire State Building. Per noi, il serbatoio di SNO si trova a circa tredici Moli Antonelliane sotto la superficie terrestre.
In realtà, la massa dei neutrini non è stata rivelata «direttamente» dagli esperimenti, bensì dedotta da un altro fenomeno, chiamato «oscillazione di neutrino». Consiste più o meno in questo. In natura sembrano esistere tre specie diverse di neutrini: i neutrini elettronici, muonici e tauonici. Se fossero davvero privi di massa, come la teoria (e anche Updike) li ha voluti per lungo tempo, ognuno resterebbe quello che è per sempre. L’elettronico resterebbe elettronico, il muonico muonico, il tauonico tauonico. Negli esperimenti di McDonald e Kajita è stato invece dimostrato che i neutrini possono «oscillare» da un tipo all’altro. Attraversata una certa distanza alla folle velocità a cui viaggiano, diviene addirittura probabile che un neutrino elettronico diventi muonico, per esempio. E questo è possibile soltanto in presenza delle masse. Il sospetto che una simile metamorfosi fosse possibile si ebbe per la prima volta misurando la quantità di neutrini elettronici provenienti dal Sole, e accorgendosi che ne arrivavano a noi meno del previsto. Dov’erano finiti gli altri? Si erano persi per strada oppure si erano trasformati in qualcosa di diverso? McDonald e Kajita, insieme ai loro colleghi, hanno dimostrato che la seconda ipotesi era quella vera.
Ho sempre trovato un po’ meschino, quando si parla di successi della scienza, volerli associare a tutti i costi al proprio Paese, un campanilismo simile a quello che, secondo McDonald, si applica alla misura delle lunghezze. La ricerca ha uno sguardo assai più ampio di quello nazionale. Ma è doveroso, in questo caso, ricordare che la fisica dei neutrini ha alle spalle una tradizione italiana importante. Dopo che Dirac ne postulò l’esistenza, fu soprattutto Fermi a descrivere i processi ai quali i neutrini prendevano parte. Majorana ne diede una descrizione matematica nuova, che lasciò quesiti tuttora aperti. E l’idea germinale che condusse allo studio delle oscillazioni di neutrino fu presentata da Bruno Pontecorvo in un lavoro del 1957.
La poesia scientifica di Updike si conclude con questi versi: «La notte (i neutrini) entrano in Nepal / e perforano l’amante e la sua amata / da sotto il letto, voi chiamatelo / stupendo; io lo chiamo idiota». Il Comitato del premio Nobel non era d’accordo con lui.