sabato 31 ottobre 2015

Corriere 31.10.15
Svolta di Obama, prime truppe in Siria
Cinquanta soldati Usa già inviati in zone di combattimento. In Turchia una squadriglia di F-15 Si chiude a Vienna il round di negoziati con la partecipazione dell’Iran: niente scontri e passi avanti
di Massimo Gaggi


NEW YORK Solo 50, forse meno. Ma sono i primi soldati americani impegnati in zone di combattimento in Siria, un Paese devastato da una guerra civile che dura ormai da quattro anni e che ha già fatto più di 200 mila vittime. Barack Obama, il presidente che voleva uscire dalla Casa Bianca lasciandosi alle spalle un Paese senza più guerre da combattere dopo il ritiro da Iraq e Afghanistan, è costretto a un altro passo che va nella direzione opposta: spinto dall’aggressività dello Stato islamico che sta mettendo radici in vaste aree della Siria e dell’Iraq, dall’intervento della Russia a fianco del regime di Damasco e dal fallimento dei tentativi Usa di addestrare ribelli filo-occidentali in questo Paese martoriato, il leader americano si rimangia la decisione di non rischiare più vite di soldati statunitensi schierandoli sui campi di battaglia delle guerre mediorientali.
Dapprima Obama ha cercato di combattere i terroristi dell’Isis coi raid aerei e gli attacchi mirati dei droni, ma non è bastato. Così, dopo il prolungamento della missione militare in Afghanistan contro i talebani e le prime infiltrazioni Isis e dopo l’invio di nuove truppe in Iraq (istruttori incaricati di addestrare e sostenere l’esangue esercito di Bagdad), ecco la decisione più rischiosa: l’intervento in Siria. Accompagnato dall’invio nella base turca di Incirlik di squadriglie di cacciabombardieri F-15 e aerei corazzati da attacco A-10 «Warthog», pronti a colpire i bersagli dell’Isis che verranno individuati anche grazie ai commando Usa in Siria.
Anche questa missione, dice la Casa Bianca, sarà solo di «consulenza e assistenza» ai combattenti curdi che operano nel Kurdistan siriano: una sottile striscia di territorio stretta tra la frontiera turca e la città di Raqqa, la capitale del Califfato. Ma già qualche giorno il New York Times aveva sostenuto, in un editoriale firmato dal board dei direttori, che chiamare «istruttori» i militari Usa mandati in zona di guerra era fuorviante all’inizio di questo conflitto ed è assurdo oggi che i combattimenti si sono intensificati ovunque con gli Usa sempre più esposti.
Del resto il Pentagono usa un linguaggio molto più crudo della Casa Bianca quando parla di «forze combattenti». Saranno pochi uomini, certo, ma si tratterà di volontari delle forze speciali: uomini abituati a condurre le missioni operative più rischiose che, oltre ad aiutare i curdi nell’addestramento e nel reperimenti di armi, li assisteranno nelle loro offensive con l’obiettivo esplicito di far avanzare il fronte fino a cercare di riconquistare Raqqa, il cuore dello Stato Islamico.
Un vero salto di qualità questo intervento deciso da Obama perché, mentre in Afghanistan e Iraq gli Stati Uniti si sono mossi su richiesta dei governi locali, in Siria i soldati americani andranno a sostenere un esercito, quello curdo, che combatte tanto contro l’Isis quanto contro il regime di Damasco, delegittimato dai crimini commessi da Assad contro il suo stesso popolo, ma ancora formalmente al potere. E puntellato dall’intervento militare russo in Siria.
Una situazione molto pericolosa, quindi, per le truppe scelte che saranno impegnate in queste operazioni (si sta verificando la possibilità di evacuarli a bordo di elicotteri corazzati in caso di emergenza) anche perché questi soldati rischieranno di ritrovarsi contro truppe di Assad appoggiate dai russi. Washington e Mosca su trincee opposte in Siria ma sedute attorno allo stesso tavolo a Vienna dove si cercano soluzioni per la crisi siriana, per la prima volta anche con la partecipazione dell’Iran.
Muro contro muro in Medio Oriente mentre a Vienna i ministri degli Esteri dei due Paesi, Kerry e Lavrov, tengono una conferenza stampa congiunta: un paradosso di questa crisi. Non è il pri mo e non sarà l’ultimo.