Corriere 2.10.15
L’ambigua anima russa torna sempre all’ordine
di Luigi Ippolito
Il rapporto fra la Russia e le avanguardie artistiche che essa stessa ha prodotto nel corso della sua storia è sempre stato ambivalente, quando non denso di travagli. La stessa parabola di Malevic è esemplare, col suo evolvere dal futurismo al suprematismo fino al ritorno a una sua forma figurativa coincidente col ritorno all’ordine nella sfera politica. Un movimento e contromovimento che ha trovato la sua replica nei decenni contemporanei. Il periodo seguito al crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica ha visto una fioritura artistica diversificata e creativa, che ben accompagnava i caotici anni Novanta, dominati sì dal disordine politico ed economico ma, al tempo stesso, caratterizzati da ampia libertà espressiva. Ma di pari passo alla restaurazione politica attuata da Vladimir Putin a partire dal Duemila, e accentuatasi in questo suo ultimo mandato, ha preso corpo una restaurazione culturale imperniata sul richiamo ai valori tradizionali contrapposti alla decadenza dell’Occidente. È qui che le forme più radicali di espressione artistica hanno assunto i connotati di rivolta aperta contro il potere: è il caso del collettivo anarchico situazionista Voina (Guerra), da cui sono poi scaturite le celebri Pussy Riot, protagoniste di performance come il disegno di un enorme pene sul ponte levatoio davanti alla sede del Kgb di San Pietroburgo o la celebrazione di un’orgia (vera) in un museo statale. Fino alla preghiera punk nella cattedrale del Salvatore, costata alle Pussy Riot anni di galera. La reazione si è fatta sempre più violenta. È di questi ultimi mesi il caso di mostre di arte contemporanea a Mosca attaccate e vandalizzate da autoproclamati difensori della tradizione, che sentono di avere l’appoggio tacito di chi governa. Rivoluzione e restaurazione continuano a disputarsi l’anima russa.