venerdì 2 ottobre 2015

Corriere 2.10.15
Il rebus
Ignazio Silone, il passato di uno scrittore
risponde Sergio Romano


Le polemiche sollevate all’indirizzo di Pitigrilli, rievocate da un lettore, mi hanno richiamato alla memoria quelle nei confronti di Ignazio Silone. Credevo che la sua compromissione con il fascismo, dovuta all’intento di proteggere il fratello, fosse assodata. Silone era stato socialista e poi comunista ma finì per fare la spia a favore dei fascisti dando informazioni sui fuorusciti per ottenere un trattamento umano per il fratello gravemente ammalato ricoverato nell’infermeria del penitenziario di Procida. Contro il parere di accreditati storici colpevolisti si espresse Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni. Come si concluse il dibattito?
Antonio Fadda

Caro Fadda,
Sui rapporti che Secondino Tranquilli (meglio noto come Ignazio Silone) ebbe con la polizia dello Stato italiano nei primi anni del regime fascista, non credo vi siano ormai molte incertezze. Fra il 1927 e il 1930, nascosto sotto il nome di Silvestri, Silone inviò rapporti soprattutto a Guido Bellomo, un ispettore abruzzese che aveva conosciuto negli anni dell’adolescenza. Dava notizie sulla linea politica del Partito comunista d’Italia e, in particolare, sulle indagini disposte dal suo apparato per accertare la lealtà di membri che erano sospettati, spesso con ragione, di avere stretto rapporti fiduciari con la polizia.
È stato spesso spiegato che la collaborazione di Silone con Bellomo aveva uno scopo umanitario. Serviva a ottenere migliori condizioni per il fratello Romolo, membro del partito, accusato di complicità in un sanguinoso attentato milanese, arrestato e trattato con durezza durante gli interrogatori di polizia. La preoccupazione per la sorte del fratello era reale e giustificata. Ma vi erano probabilmente altre ragioni che appartengono al dominio della psicologia piuttosto che a quello dell’analisi politica. Silone era un uomo complicato, turbato da dubbi, esami di coscienza, analisi introspettive, sensi di colpa: doti e virtù che avrebbero fatto di lui un grande scrittore, piuttosto che un leader politico. Nel suo libro su I tentacoli dell’Ovra , Mimmo Franzinelli cita un passaggio della lettera che Silone inviò a Bellomo il 13 aprile 1930 per annunciargli l’intenzione di abbandonare la politica militante. Voleva eliminare dalla sua vita «tutto ciò che è falsità, doppiezza, equivoco, mistero» e «cominciare una nuova vita, su una nuova base, per riparare il male che ho fatto, per redimermi, per fare del bene agli operai, ai contadini (ai quali sono legato per tutte le fibre del mio essere) e alla mia patria».
Dopo la pubblicazione della lettera su Pitigrilli, caro Fadda, molti lettori mi hanno chiesto quale sia il significato dall’acronimo Ovra con cui viene abitualmente chiamata quella branca della polizia di Stato che venne usata per la repressione dell’antifascismo. Devo rispondere che, nonostante i numerosi tentativi di sciogliere il rebus, la parola non sarebbe un acronimo. L’avrebbe coniata Mussolini per ragioni esclusivamente fonetiche. Era convinto che l’assonanza con «piovra» l’avrebbe resa immediatamente popolare.