Corriere 29.10.15
L’ascolto del tempo
Una mostra dei post impresionisti alla Gran Guardia di Verona
Dai puntini di Seurat a Mondrian: una generazione che ha colto la «chimica» della modernità
Una rottura delle forme che nasceva dagli studi sull’ottica e dalla fotografia
di Fabio Bozzato
Una domenica d’estate del 1888. A Port-en-Bessin, piccolo borgo di pescatori della Normandia, spira una brezza che muove le bandiere di alcune barche ormeggiate. Georges Seurat da una balaustra osserva la scena. Ha già realizzato cinque dipinti di quel villaggio. E questo sarà il sesto. Non gli interessano gli scorci romantici. Scruta piuttosto gli edifici del porto, con la loro silhouette geometrica e funzionale. Le imbarcazioni e il molo. L’atmosfera rarefatta tra le nuvole e l’acqua. Sembra non accorgersi neppure delle persone che oziano e passeggiano.
La tela si chiamerà Domenica a Port-en-Bessin . Fa così da tre anni, girando da un porticciolo all’altro della costa normanna. Il Canale di Gravelines in direzione del mare è del 1890. Anche qui non c’è anima viva, nemmeno nella barca dalle vele spiegate che pure sta entrando.
Per avventurarsi nella stagione a cavallo tra i due secoli bisogna entrare in questi due porti, ci dice la mostra in corso alla Gran Guardia di Verona. E fidarsi dello sguardo di Georges Seurat che lui declina letteralmente sulla punta del pennello. L’impressionismo tramonta nel caleidoscopio visivo del pointillisme , appunto.
Già quando Seurat fa capolino all’ultima mostra degli impressionisti nel 1886, con il suo capolavoro Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte , tutti capiscono che una sventagliata di avanguardia sta oscurando i maestri.
Quella precisione ossessiva è il paradosso che sfoca (e lo farà sempre di più) in scie visive, fino a dissolvere tutto. Fino all’ardire di asciugare, comprimere e liberare la visione, come farà trent’anni dopo un tipo come Piet Mondrian.
Trent’anni (che in mostra si contano in 70 tele e sei sezioni) sono una traiettoria rapida, accelerata dall’euforia del nuovo secolo. L’esposizione racconta proprio questa parabola chiamata post impressionismo. La possibilità di farlo ce la dà Helene Kröller-Müller, una ricca collezionista nata qualche anno prima di quel fatidico 1886, che segue l’evolversi dei «suoi» pittori fino a ritrovarsi un intero museo in mezzo alla campagna olandese di Otterlo. Li vede sperimentare e attingere dalla modernità che si spalanca di fronte. I Dintorni di Montmartre in rue Championnet , nel 1887, sono già pieni di fabbriche, colti da Maximilien Luce.
Figlio della Comune, lui entra ne La fonderia (1899), dove luce e vapori fanno sudare la vista, gli operai in posture drammatiche mormorano nuovi fermenti di lì in arrivo. Il Tramonto di Jean Metzinger si fa quasi mosaico e ha un retrogusto di cubismo.
C’è chi accelera. Paul Signac attinge da Piero della Francesca per la sua Sala da pranzo e ci consegna un interno di persone enigmatiche e anaffettive. Vincent Van Gogh ne è debitore (e seguace): su un pezzo di cartone prova l’ Autoritratto (1887) e da lì ne firmerà 25, raffinando pennellate ieratiche e sguardo fisso.
Arriva a Il Seminatore l’anno dopo e la tela sarà colma di materia pastosa e profonda. Il Paesaggio con fasci di grano e luna che sorge ha qualcosa di metafisico, stilizzato fino all’inverosimile, tra la calma e le crisi che viveva nella clinica di Saint-Paul-de-Mausole.
«È una tensione all’astrazione, complice anche il formidabile contesto con le scoperte di fisica, chimica e ottica. I colori si moltiplicano e gli effetti sono sorprendenti», spiega Stefano Zuffi, il curatore. Il Per-Kiridy con l’alta marea di Théo van Rysselberghe ha blu violacei e verdi purpurei. Il Crepuscolo di Henry van de Velde sembra una matrice di astrattismo: il cielo chiaro, il casamento e il prato solcato da un sentiero sembrano ormai solo campiture. Nel Nudo contro luce di Leo Gestel (1909) la pioggia di segni fa cambiare di continuo la tonalità e le dà un’aria cinetica.
Gli stessi disegni di Seurat hanno un’esplicita impronta fotografica. Quelli di Johan Thorn Prikker sono flussi tratteggiati. È per questo che alla fine, messi vicini i due lavori di Piet Mondrian, la Composizione n.II del 1913 e quella Rosso, Giallo e Blu del 1928, non suscitano alcuna sorpresa. In mostra non ci sono gli esordi puntinisti del pittore olandese.
Ma le campiture e i segni geometrici che via via puliscono qualsiasi immagine e sottraggono realtà per amplificare visioni, non sono che un’inesorabile conseguenza della modernità compiuta.