martedì 27 ottobre 2015

Corriere 27.10.15
«L’ascesa populista colpa dell’Europa finto super Stato»
di Maria Serena Natale


«Ora la Polonia di Kaczynski, poi i Paesi Bassi di Geert Wilders e la Francia di Marine Le Pen. Le destre euroscettiche non devono sforzarsi, il lavoro sporco lo fa già l’Europa. Se questa Ue non cambia, si consegnerà ai populisti». Jan Zielonka insegna Politiche europee a Oxford. Polacco della Slesia emigrato nel Regno Unito con passaporto olandese, lui che si definisce «un vero europeo» ha pubblicato con Laterza «Disintegrazione. Come salvare l’Europa dall’Unione Europea». La nostra casa comune, dice al Corriere , «va a fuoco».
Grecia, immigrazione, tensioni con la Russia, avanzata delle destre... professor Zielonka di cosa soffre l’Europa?
«Dell’illusione di essere destinata a diventare un super Stato con moneta, politica estera e difesa in comune. Quest’Europa è la maschera di se stessa, finge di ignorare il processo storico in atto: una frammentazione progressiva che mina alle radici il monopolio degli Stati. Non è accentrando più poteri a Bruxelles che si rafforza l’Europa unita, ma facendo esattamente il contrario, assecondando il movimento della disintegrazione, che tiene conto dell’assenza di interessi comuni aggregati».
Disintegrare ovvero disfare il sogno degli Stati Uniti d’Europa?
«Chi la ama e crede nelle sue potenzialità, sa che l’Unione ha bisogno di realismo, non di vuota retorica. Disintegrare significa riconoscere il ruolo dei veri centri di potere, luoghi di produzione economica e culturale come le mega città, pensi a Londra o Amburgo. Dare loro più denaro, più responsabilità secondo una logica che privilegi la funzione rispetto al territorio. Procedere a una riforma profonda che ribalti gli equilibri piramidali in favore di un approccio dal basso».
Gli euroscettici rimproverano alla Ue appunto un dirigismo senz’anima. In scala, è lo stesso schema delle opposizioni che accusano i governi di distacco dalla realtà dei cittadini, come ha fatto Diritto e giustizia in Polonia.
«Finché l’Europa non reagirà, i populisti continueranno a capitalizzare il vuoto d’iniziativa e a bollare qualsiasi cambiamento come un’imposizione. Una delle poche riforme recenti, quella sul Fiscal Compact, di fatto è stata un diktat di Merkel e Sarkozy».
Da Kaczynski all’ungherese Orbán, nell’«inverno dello scontento» il fronte del dissenso nel blocco centro-orientale cresce. La faglia tra Est e Ovest si approfondirà?
«I blocchi oggi si formano lungo linee d’interesse, sull’immigrazione l’Ungheria di Viktor Orbán non è molto distante dal Regno Unito di David Cameron. L’Europa va ripensata con uno sforzo che coinvolga tutti, la vera integrazione è polifonica e decentralizzata».
Come andrà con Beata Szydlo e Jaroslaw Kaczynski?
«Niente strappi traumatici, il partito di governo ha perso perché ha peccato di arroganza e non ha aperto la leadership alla nuova generazione. Il futuro sarà diverso dal passato dei gemelli Kaczynski».