martedì 27 ottobre 2015

Corriere 27.10.15
Banana Yoshimoto. Il mio addio al pacifismo
La scrittrice parla del suo Giappone e del militarismo del premier Abe
«Il mondo è cambiato, non c’era scelta» «Racconto la libertà che è nei cuori»
di Carlo Pizzati


TOKYO È un Giappone in crisi con se stesso e con il mondo esterno, un Paese che perde la sua natura pacifista per cause di forza maggiore, dove c’è libertà d’espressione, ma dove l’impegno di una scrittrice va nascosto tra le pieghe di allegorie salvifiche. Questo è quello che emerge da un dialogo con Banana Yoshimoto nella sua casa di Daizawa, quartiere «shabby-chic» della capitale, costellato da negozietti d’abiti di marca usati e di mobili d’antiquariato.
Sulla parete di una villetta, una banana di ceramica gialla luccica su piastrelle blu cobalto sopra alla scritta «Yoshimoto». L’autrice, che da Kitchen (1988) fino al più recente Il lago (Feltrinelli 2015) da decenni trascina i lettori italiani in storie di lutto per madri scomparse, genitori transgender d’antan, amori delicati e dolce malinconia, non si tira indietro a un’analisi sulla trasformazione del suo Paese. Con una forzatura politica, il premier Shinzo Abe è riuscito a far approvare al Parlamento una nuova interpretazione del «pacifista» articolo 9 della Costituzione: ora l’esercito ha il via libera per intervenire militarmente anche all’estero, nell’ambito di missioni alleate, guidate dagli Usa. È un voto che contrassegna un cambiamento d’epoca e d’identità nazionale.
«Penso che l’articolo 9 sia fantastico! — dice Banana Yoshimoto — ed è una delle poche cose preziose rimaste al Giappone dopo la guerra. Anch’io avrei voluto fermare questo cambiamento, se fosse stato possibile. Ma le circostanze sono molto diverse oggi. E sono peggiori di quanto si pensasse. Ma non ci consentono più di poter dire “teniamo o non teniamo l’articolo 9”, perché siamo minacciati da una crisi internazionale molto più grave di quanto io stessa non mi rendessi conto. In questo contesto, il premier Abe fa il possibile».
Cosa ne sarà di quel Giappone che è pacifista da ormai 70 anni? «La Svizzera è un Paese neutrale, ma ha un esercito molto forte. Forse non potremo evitare che il Giappone diventi così». La Svizzera è neutrale, appunto, il Giappone invece è un alleato americano, come l’Italia. «Ma noi giapponesi non possiamo più permetterci il lusso di restare in pace ignorando la situazione attorno a noi. Credo che non sia ancora abbastanza evidente, ma il Giappone è in una crisi sia interna che esterna. Oltre alla crisi economica, anche in molti altri aspetti. Quindi non c’è modo d’evitare qualche sacrificio. Il fatto che i giovani stiano cercando di reagire manifestando e protestando è positivo perché è sempre meglio che l’apatia. Ma credo che siano arrivati un po’ tardi».
Ecco, appunto, i giovani. L’anno scorso il tasso di suicidi è stato di 70 giapponesi al giorno. Molti maschi, molti giovani. È un dato orrendo di quella crisi interna che lei descrive nei suoi romanzi. «Osservando la società di adesso, il senso di perdita che prova la gente è così forte che se fossi giovane oggi, forse anch’io mi sarei già uccisa. Quando ne parlo nei miei libri, però, non descrivo mai l’atto in sé. Cerco di far capire quanti problemi in più si generano uccidendosi. Perché ci si uccide quando non si trova una via d’uscita alla propria situazione. Non penso che con i miei libri potrò fermare chi vuole farlo, ma spero che leggendo quel che scrivo magari rimandino di dieci minuti o di una notte. E che in quel lasso di tempo scoprano qualcosa che non avevano visto prima, dando una nuova possibilità alla vita».
Non pensa che gli scrittori giapponesi come lei potrebbero avere un ruolo più diretto nella politica di un Paese così in crisi? «Come scrittrice l’unica cosa che posso fare è di parlare della libertà che è nel cuore delle persone, una libertà che hai anche se sei in prigione. Quando penso a un figlio il cui padre torna a casa ubriaco e gli appare come un essere diverso dall’uomo che conosce, o se il bambino viene picchiato da una madre che ama, allora la realtà mi sembra uscita da uno di quei film dell’orrore italiani con i quali sono cresciuta. Non scrivo direttamente di politica, ma credo che ci sia una posizione ideologica nei miei libri anche quando parlo in maniera iperbolica dello sguardo diverso che un bambino ha su un genitore, ad esempio. Credo che i miei romanzi appaiano come parabole o allegorie, come fiabe. Questo è il mio modo di fare politica».