Corriere 26.10.15
I teorici non hanno bisogno di laboratori
Quell’epica del rischio svanita nei protocolli
di Piersandro Pallavicini
Una delle icone della scienza moderna, Marie Curie, ha scoperto il Radio lavorando tonnellate di pechblenda a mani nude tra vapori acidi, al freddo, in una baracca, fino ad arrivare dopo anni a cento milligrammi di un sale dell’elemento, ma morendo poi per le radiazioni: sacrificare la vita per il sapere l’immaginiamo così. Oggi è impensabile maneggiare il Radio, o anche solo avvicinarglisi senza protezione, mica possiamo tenerlo sullo scaffale. Si lavora in laboratori asettici, rispettando protocolli. La sicurezza è un bene acquisito, e nessuno osa dire che si lavorava meglio quando ci si poteva sporcare le mani... Salvo rimpiangere le notti in laboratorio per terminare un esperimento: perché oggi, dicono le circolari ministeriali, in assenza di squadra di sicurezza nessuno può frequentare i dipartimenti di ricerca, e la squadra va giustamente a casa alle sei. Dunque consapevolezza e regole non ci permettono più di spingerci oltre il limite? Di sacrificare financo noi stessi per il sapere? Chissà, forse sì: i teorici non hanno bisogno di laboratori, si accontentano di fogli, penne e discussioni. E c’è quel celebre episodio che raccontava Heisenberg. Di quando lui, Von Weizsäcker e Bohr si diedero appuntamento in Austria per una vacanza in baita. Loro ragionavano di scienza con lunghe camminate in montagna. Ma ci fu un contrattempo, arrivarono di notte, il sentiero era perso nella neve, Heisenberg fu travolto da una valanga, sopravvisse per miracolo. Su in baita, comunque, Bohr tirò fuori una fotografia prodotta in una camera a nebbia. Bevvero punch, ne discussero. E capirono che uno di quei ghirigori era il tracciato del positrone, l’elettrone positivo ipotizzato dalle equazioni di Paul Dirac. Avevano rischiato la vita. E confermato l’esistenza dell’antimateria.