Corriere 24.10.15
Non votare il bilancio, l’arma finale del Nazareno
I timori che il sindaco dimissionario possa correre con una sua lista
di Maria Teresa Meli
ROMA È una resa senza condizioni quella che il Partito democratico chiede a Ignazio Marino. Se il sindaco di Roma, ventilando l’ipotesi di ritirare le proprie dimissioni, pensava di andare in pressing su Matteo Renzi ha dovuto ricredersi. «Niente trattative», è la parola d’ordine che si sente sussurrare nel quartier generale del Pd.
Il presidente del Consiglio, del resto, considera questa giunta un capitolo già chiuso. Prima di partire, con i suoi, è stato netto: «Il tema per noi è Roma, non Marino. Concentriamoci sulla Capitale e lasciamo perdere il passato».
I renziani sono quindi inamovibili e hanno interrotto i contatti con il primo cittadino. Nessuno parla più con Marino. Il premier non lo faceva già da tempo. Il suo braccio destro e sinistro, Luca Lotti, è sulla stessa linea. Anche il vicesegretario Lorenzo Guerini, che pure in un primo momento aveva cercato di mediare, non alza più il telefono per sentire il sindaco. Matteo Orfini, commissario del partito romano, fresco di proroga, ha interrotto tutti i contatti poco dopo la vicenda degli scontrini. Marco Causi, assessore al Bilancio dimissionario, è l’unico ufficiale di collegamento tra il Pd e il Campidoglio, ma anche lui ieri si è spazientito con il sindaco.
Insomma, quello che il primo cittadino della Capitale sperava di ottenere, ossia un abboccamento con il presidente del Consiglio, non c’è stato. E difficilmente ci sarà. Dicono che ora Marino punti sulla mediazione di Graziano Delrio per ottenere quell’uscita con l’onore delle armi che gli sta tanto a cuore.
A Palazzo Chigi come al Nazareno sono convinti che, alla fine, il sindaco non ritirerà le dimissioni: «Senza il Partito democratico non c’è una maggioranza nel consiglio comunale, quindi Marino non potrà andare avanti», è la spiegazione che viene data.
Ma è anche vero che, dopo i tira e molla del primo cittadino della Capitale, nessuno è più disposto a mettere la mano sul fuoco sul fatto che il sindaco lascerà il Campidoglio. Perciò, nel frattempo, si studiano tutte le possibili contromosse. Fino all’arma estrema: quella di non votare il bilancio preventivo che va approvato entro fine anno, nel caso in cui Marino non si dimetta. In questo modo scatterebbero delle procedure che porterebbero al commissariamento. Ma è chiaro che si tratta di una extrema ratio , perché quello che vorrebbe veramente il premier è chiudere questa storia al più presto, limitando, per quanto è possibile, i danni che sono già stati fatti all’immagine del Pd, e buttandosi a capo fitto sull’operazione Giubileo.
Ma anche se tutto filasse liscio, se questo tormentone romano avesse fine entro il due novembre e Marino confermasse le dimissioni, potrebbero ancora esserci dei problemi. Non tanto quelli legati all’annuncio del sindaco che non esclude di partecipare alle primarie, perché non è affatto detto che a Roma si tengano quelle consultazioni. Infatti, se si trovasse un nome di peso, su cui tutti o quasi si trovassero d’accordo, le primarie potrebbero diventare superflue.
I timori di una parte del Pd riguardano invece la possibilità che Marino decida di presentasi in proprio, con una lista civica, anche se gli uomini a lui più vicini negano che il sindaco abbia intenzione di ingaggiare una battaglia elettorale contro il proprio partito. E, per esempio, la stessa Sel è divisa. Un pezzo di quel movimento immagina di poter costruire una «Cosa rossa» attorno alla candidatura di Marino. Ma il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto lo esclude: «Non possiamo andare alle elezioni con lui, è bruciato».