sabato 24 ottobre 2015

Repubblica 24.10.15
La spina di Marino nel fianco del Pd
Sui dem la spada di Damocle di Marino
Nel Pd non potranno restare a lungo inerti. Il rischio è che tra i dem prenda il via un’agonia piena di ricatti
di Stefano Folli


NELLO STRANO caso di Ignazio Marino quasi nulla è come appare. A cominciare dal sindaco dimissionario che non è affatto quel personaggio ingenuo capitato per caso nella fossa dei leoni. Marino segue una sua logica fatta di passaggi imprevedibili e scarti improvvisi, ma all’interno di uno schema a suo modo coerente. Viceversa, a chi segue uno schema classico, per esempio il Pd romano, il comportamento del personaggio sembra indecifrabile, l’agire inconsulto di un uomo che ha perso la testa.
Non è proprio così. Nell’intervista data a questo giornale, Marino non dà mai l’impressione di essere fuori controllo. Al contrario, ogni frase contiene parole pesate una a una. L’obiettivo sembra chiaro: è il suo ex partito, reo di averlo abbandonato a un destino amaro, fatto di discredito personale come premessa dell’oblio. Al Pd il sindaco vuol far pagare tutto con gli interessi. Ha capito di avere in mano alcune carte rilevanti, poiché le dimissioni in teoria si possono ritirare e alle primarie del centrosinistra ci si può presentare con l’intento di creare la massima confusione. Quanto meno lo si può minacciare per vedere l’effetto che fa. Non solo. È evidente che il Pd vuole evitare a tutti i costi di dover sfiduciare il “suo” sindaco con un voto nell’assemblea capitolina. Vorrebbe dire trovarsi in compagnia dei partiti che di lì a poco saranno gli avversari nella campagna elettorale, dalla destra della Meloni ai Cinque Stelle. Già oggi i sondaggi danno il partito di Renzi e Orfini in grande affanno. Un pubblico suicidio indotto dalla resistenza di Marino sarebbe il colpo di grazia alle speranze, peraltro assai esigue, di risalire la china.
Il sindaco dimissionario è, sì, un “impolitico”, ma non è uno sprovveduto. Dispone di una certa astuzia e se ne serve all’occorrenza. Le sue uscite sono temerarie, ma non superano mai l’invisibile confine che le trasformerebbero in vuoto vaneggiare. Sono tipiche di un uomo che non ha più un futuro davanti, almeno nel mondo della politica, ma ha ancora l’energia per vendicarsi. Nessuno gli ha offerto un paracadute o quanto meno l’onore delle armi. Nessuno ha blandito il suo egocentrismo fuori del comune. Al tempo stesso, egli è diventato suo malgrado — e non si sa per quanto tempo — il beniamino di una fetta di elettorato che vede in lui la vittima di un gioco di palazzo.
È un mondo che detesta il Pd romano ed è probabilmente pronto a votare i Cinque Stelle fra sei mesi. Ma intanto sostiene Marino e gli chiede di “non mollare” perché ha ben compreso, come del resto il sindaco, che questo è il modo più crudele per tenere aperta la ferita del centrosinistra. Sulla carta, questi sostenitori costituiscono la base elettorale del supposto ribelle, benché sul piano pratico per lui presentarsi alle primarie sarà più facile a dirsi che a farsi. Ma il solo parlarne genera ulteriori conflitti e manda in affanno il piccolo “establishment” di un partito che oggi non è in grado nemmeno di garantire la rielezione dei consiglieri comunali.
SULLO SFONDO si staglia l’insidia peggiore, benché allo stato poco verosimile: escluso dalle primarie, Marino potrebbe presentarsi da solo alle elezioni. Raccoglierebbe quel tanto di voti sufficienti a rendere clamorosa la disfatta del Pd. Per ottenere lo scopo, il dimissionario deve continuare sulla linea inaugurata ormai da mesi: presentarsi come la vittima dei poteri criminali, lo sceriffo solitario che ha liberato Roma dalla mafia e poi è stato tradito dal suo partito. Un messaggio obliquo tutt’altro che oscuro benché poco consistente, dal momento che tutti conoscono le inchieste del procuratore Pignatone e sanno bene chi e come ha debellato la rete dei Carminati e dei Buzzi. Resta il fatto che il Marino degli ultimi giorni, in apparenza prigioniero dei suoi rancori, sta mostrando un’abilità comunicativa superiore ai suoi nemici, specie quelli del centrosinistra. Non avendo più niente da perdere, il sindaco galoppa. Ma nel Pd non potranno ancora a lungo restare inerti. Ormai il dado è tratto e Marino dovrà uscire di scena, quale che sia il prezzo politico ed elettorale che nel partito di Renzi si dovrà pagare. Tutto è meglio di un’agonia costellata di ricatti.