Corriere 24.10.15
Roma, la conta dei pd pronti a dimettersi
I tormenti dei consiglieri dem di fronte a questa ipotesi. «Vediamo come va, un passo alla volta» Marino ai sostenitori: «Mi dicono tutti di resistere, e allora resistiamo. Non molliamo»
di Giovanna Cavalli e Valeria Costantini
ROMA La fa troppo facile Valeria Baglio, speranzosa presidente dell’assemblea capitolina: «Mollare tutti in blocco? Ma no, al momento l’ipotesi non sussiste, valuteremo». In realtà in casa Pd si valuta eccome e già da un pezzo: che fare se il sindaco Marino davvero dovesse ripensarci e restare? Un’opzione, benché difficile da praticare, è che lascino gli altri, la maggioranza più uno dei 48 consiglieri di Palazzo Senatorio. Prima di arrivare a una sfiducia in Aula.
Eh, perché il sindaco che ex non è ancora, invece persevera: «Mi dicono tutti resisti, resisti. E allora resistiamo, nella vita non bisogna mai mollare». E intanto prepara «un capodanno speciale, straordinario», contando di festeggiarlo tutti insieme in Campidoglio.
Per farlo cadere ci vorrebbero le dimissioni in simultanea di 25 consiglieri. E quelli di maggioranza sono comunque solo 19. I ligi dem dovrebbero adeguarsi, però con entusiasmo variegato. «Beh, vediamo come va, un passo alla volta», temporeggia Erica Battaglia. «Ditemi dove devo firmare e corro, sono pronto da due anni», si prenota invece Orlando Corsetti «anche se butto a mare 25 anni di carriera, ma Ignazio non riesce proprio a governare». A Marco Palumbo la prospettiva dà l’orticaria per la possibile compagnia: «Dovevamo mandarlo a casa mesi fa, ora ci toccherà dimetterci in massa con quelli di Alemanno». Athos De Luca si adegua: «Decidiamo insieme al partito per il bene della città». Quindi se gli dicono sì, sarà sì.
Soffre Michela De Biase: «Chiuderla qui sarà comunque un dramma per noi». Alfredo Ferrari rimanda: «Se Marino ritira le sue dimissioni vedrò che fare». Cecilia Fannunza è prontissima: «La fiducia del partito in lui è finita, io seguo la linea». Quindi una firma e arrivederci.
Antonio Stampete ha qualche rimpianto in più: «Mi dispiace, sono stato eletto dal popolo, però così non si può continuare». Giulia Tempesta ancora non crede al possibile evento «surreale» del dietro-front mariniano. «Per ora si è dimesso». Nel caso però, se il Pd chiede, avrà il suo sì. «Ma di che state parlando? La questione non sussiste» si inalbera Giovanni Paris. «Finora nessuno mi ha mai chiesto di dimettermi». E se poi invece bussano? «Mmm... lo faccio».
In casa Sel non ci sono travagli interiori, quattro sono, e in quattro dicono di no alle dimissioni cumulative. «Noi con i fascisti non ci votiamo», proclama Gianluca Peciola. Gemma Azuni non si schioda dallo scranno: «Marino è stato eletto dalla maggioranza, torni con un programma di bene comune. Sarà stato ingenuo e anche se ci fosse stata qualche sottrazione... beh... comunque i diktat sono vergognosi». Annamaria Proietti Cesaretti è quasi materna: «Nessuno vuole che venga mandato via così». Per Imma Battaglia prevale la riconoscenza: «Caso unico e raro, ha fatto tanto per i diritti degli omosessuali, non mi dimetto per farlo cadere».
Dalla sua lista civica, va da sé, c’è sostegno. «Totale», specifica il capogruppo Franco Marino, che non è un parente. «Gli errori magari ci sono stati, la comunicazione dei successi ottenuti non è stata perfetta, ma la stima è intatta». Rimanda all’aula Rita Paris: «Ma dimissioni prima, no». Riccardo Magi, radicale, è quasi divertito: «Spero proprio che ritiri le dimissioni e venga in aula, noi siamo per il dibattito». Con punta sadica: «Voglio proprio sentirli, quelli del Pd, votargli la sfiducia per gli scontrini. O forse ci spiegheranno davvero perché vogliono farlo fuori».