Corriere 24.10.15
I giudici: vogliono delegittimarci
Un nuovo fronte con il governo
di Giovanni Bianconi
BARI Cambiano le stagioni e i protagonisti, ma la contrapposizione tra giustizia e politica resta. Anche nell’era del leader del Pd entrato a Palazzo Chigi. E così, quando nella relazione d’apertura al XXXII congresso dell’Associazione nazionale magistrati, il presidente Rodolfo Sabelli dice che «il tema delle intercettazioni ha finito con l’assumere una centralità perfino maggiore dell’attenzione dedicata ai problemi strutturali del processo e a fenomeni criminali endemici», è inevitabile leggere un attacco a Parlamento e governo; tutti concentrati a regolare l’uso e la diffusione delle registrazioni telefoniche — sembra sostenere il leader del sindacato dei giudici — mentre mafia, ‘ndrangheta e camorra continuano a condizionare la vita pubblica. E quando Sabelli si ribella alla «immagine facile e falsa di un’Associazione magistrati raffigurata come espressione di una corporazione rivendicativa, volta alla rivendicazione dei propri privilegi, in una consapevole strategia di delegittimazione», tutti pensano alle polemiche con Matteo Renzi e la sua maggioranza dopo alcune scelte di governo e Parlamento: dal taglio delle ferie dei giudici alla riforma della loro responsabilità civile.
Ecco dunque rinfocolarsi «lo scontro», grazie a qualche frase pronunciata alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella. Probabilmente l’intenzione dell’Anm e del suo presidente era diversa, ma l’esito è quello. Tanto che subito arrivano le reazioni. Il responsabile Giustizia del Pd David Ermini considera «ingenerose alcune frasi sulla politica non attenta»; il ministro della Giustizia Andrea Orlando punta il dito contro «un po’ di sommarietà nei rilievi fatti alla riforma della giustizia, con una individuazione di priorità che non corrisponde al vero»; il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini — che si sforza di fare da ponte tra i due mondi — spiega di «condividere largamente» l’analisi di Sabelli, ma di essere «in disaccordo sulla scarsa attenzione della lotta alla mafia, visto che abbiamo strumenti normativi, organizzativi e capacità giurisdizionale di contrasto alle mafie di primordine».
I rilievi dell’Anm alla politica del governo spaziano su vari fronti, e riguardano molti punti della riforma del processo penale. Il tema centrale del congresso vorrebbe però essere quello del «rapporto tra giustizia ed economia», e secondo Sabelli politica e magistratura dovrebbero stare dalla stessa parte, a difesa dei diritti costituzionali: «Va respinta l’idea strisciante che a minori garanzie e a minori controlli possa corrispondere una maggiore crescita, come se il problema consistesse nella regola e non piuttosto nella sua violazione. L’approdo di una tale impostazione sarebbe la subordinazione della politica e della giurisdizione al potere economico, in una pericolosa prospettiva tecnocratica, sostanzialmente antipolitica».
Dopo di lui, il vicepresidente dell’Anm Valerio Savio riconosce che «una Magistratura tecnicamente preparata e consapevole delle proprie responsabilità culturali e sociali debba sempre seriamente considerare anche gli effetti extraprocessuali, o “collaterali”, delle proprie decisioni»; tuttavia, aggiunge, «il problema non è l’intervento della giurisdizione nell’economia, ma quello del crimine».
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, invitato a un dibattito con due giudici, un avvocato e un costituzionalista, invita a ricercare «sinergie positive tra politica economia e diritto». Alla domanda «se una fabbrica inquina ma dà lavoro lei che fa, la chiude?», il presidente della Corte d’appello di Milano, Giovanni Canzio, risponde: «Messa così non posso che dire sì, perché la gerarchia dei valori costituzionali è chiara», e la platea applaude convinta. Poi arrivano i distinguo: «Nella realtà l’alternativa non è così rigida», ma quel battimano ha espresso l’opinione d ei magistrati italiani.