Corriere 23.10.15
Netanyahu non ha capito il significato di Auschwitz
di Donatella Di Cesare
In un momento così grave per il proprio Paese un leader politico dovrebbe anzitutto pesare le parole. E dovrebbe guardarsi dal fare un uso strumentale della storia a fini politici. Non solo Israele, ma tutto il mondo ebraico della diaspora, è oggi costernato e non potrà facilmente dimenticare l’intervento di Netanyahu che parlando al XXXVI Congresso sionista di Gerusalemme ha di fatto ridotto e sminuito le responsabilità di Adolf Hitler, fin quasi alla negazione.
Non si tratta solo di un falso storico. Al-Husseini, il Gran Muftì, è stato un seguace, non certo l’ispiratore del Führer — come emerge con chiarezza dall’intervista sul Corriere della Sera di Dino Messina allo storico Mauro Canali.
Agghiaccianti sono le parole di Netanyahu per almeno due motivi. Il primo riguarda il crimine della Shoah. Le ricerche condotte negli ultimi anni mostrano che sin dall’inizio i nazisti non pensavano a una espulsione miravano invece allo sterminio degli ebrei d’Europa. Temevano la «nazione ebraica». Basterebbe leggere Mein Kampf. Ma c’è di più: ormai è sempre più chiaro che il nazismo hitleriano è stato il primo rimodellamento biopolitico del pianeta. Sta qui la sua peculiarità — anche rispetto ad altri genocidi. In questo progetto politico non era previsto più nessun luogo per gli ebrei. Con le sue parole Netanyahu mostra di non aver compreso, o di non voler comprendere, che cosa ha significato Auschwitz. E non basterà chiedere scusa ai sopravvissuti, ai parenti delle vittime, e a tutti gli ebrei costernati oggi dopo questa patetica, importuna e deplorevole boutade del premier.
Il secondo motivo riguarda l’abuso della Shoah in un discorso pubblico per acquisire consensi. È forse proprio questo che offende e irrita di più. Perché ci si poteva attendere da altri un disinvolto e bieco cinismo, che pure ogni giorno si tenta di contrastare. Non certo dal primo ministro dello Stato di Israele.