Corriere 22.10.15
Chi vuole aprire altri quattro casinò
di Sergio Rizzo
C’è un piano per creare in Italia quattro nuovi casinò, localizzati nel Centro-Sud, dalla Toscana alla Puglia. Eppure quelli esistenti sono tutti in perdita.
D i ce Sam «Asso» Rothstein, alias Robert De Niro: «In un casinò la regola fondamentale è di farli continuare a giocare. Più giocano e più perdono. Alla fine becchiamo tutto noi». Solo in Italia la regola enunciata nel film Casinò di Martin Scorsese funziona al contrario. Infatti negli ultimi dieci anni le quattro case da gioco del Bel Paese, tutte rigorosamente di proprietà pubblica, hanno accumulato perdite di bilancio per 314 milioni. Ma la lezione, evidentemente, non è servita.
Nonostante una simile catastrofe e per nulla turbata dalle ultime roventi polemiche sullo stato biscazziere che mentre al Quirinale premia il campione della lotta al gioco d’azzardo spalanca la porta a svariate altre migliaia di slot-machine, l’associazione che riunisce i quattro casinò italiani (Campione d’Italia, Venezia, Sanremo e Saint- Vincent) adesso chiede al governo centrale di raddoppiare. Non più quattro, bensì otto case da gioco. E siccome il Nord è già presidiato da est a ovest, ecco che la destinazione dei nuovi casinò è il Centro-Sud. In Toscana potrebbe aprire Montecatini. In Puglia, Bari o Fasano. Fra Lazio e Campania se la batterebbero Anzio e Salerno. Mentre in Sicilia l’unica candidatura concreta sarebbe quella Taormina.
Il documento di 41 pagine che descrive nei dettagli l’operazione è stato recapitato al sottosegretario all’Economia con delega ai giochi, Pier Paolo Baretta, il quale l’ha prontamente girato ai Monopoli di Stato. E ora si è in fiduciosa attesa di un verdetto che non sia troppo sfavorevole. Non soltanto perché «l’apertura dei casinò costituisce un acceleratore del business turistico», come argomenta il piano portando a esempio la Spagna.
Il fatto è che l’operazione gode di sostegni politici potenti e trasversali: dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, siciliano e leader ncd, che caldeggia Taormina, a pezzi del Partito democratico. Lo stesso Baretta ha più volte insistito sulla necessità di rilanciare la case da gioco. «Dobbiamo fare una valutazione con il governo per i casinò, perché possono essere un baluardo contro l’illegalità» ha detto pubblicamente il 14 aprile. Spingendosi a ipotizzare anche la riapertura della casa da gioco di Taormina, chiusa mezzo secolo fa, «perché servirebbe a contrastare l’offerta che arriva da Malta». Dichiarazione peraltro in sintonia non soltanto con i desiderata di Alfano, ma anche con la proposta di legge presentata sei mesi fa da alcuni senatori di Forza Italia, fra cui Domenico Scilipoti. Così il cerchio sembra chiudersi.
Quanto all’intervento del governo, è presto detto. Il piano prevede che tutti gli otto casinò italiani confluiscano in una società nuova di zecca controllata al 51 per cento dal ministero «di riferimento». Ovvero, quello dell’Economia. Anche il 49 che avanza, però, dovrebbe restare in mani pubbliche. Proprietari con quote fra l’11 (Campione e Venezia), il 7 (Saint-Vincent) e il 5 per cento (Sanremo) sarebbero i quattro casinò esistenti che a loro volta sono posseduti dai rispettivi Comuni e della Regione Valle d’Aosta (Saint-Vincent). Ai municipi che parteciperanno all’apertura delle quattro nuove case da gioco verrebbe invece riservato il 15 per cento restante.
La patata decisamente bollente dei casinò inguaiati passerebbe dunque dagli enti locali direttamente allo Stato, che in più dovrebbe impegnarsi, suggerisce il piano, a escluderli dal pagamento dell’Isi, l’imposta sugli intrattenimenti. È forse questo il vero obiettivo della Federgioco, il cui segretario generale Ivo Collè è un funzionario ex croupier di Saint-Vincent ma soprattutto ex politico di lungo corso, prima sindaco di Saint- Oyen, poi consigliere regionale valdostano, infine parlamentare? Il Casinò de la Vallée è quello che negli ultimi tre anni ha perso più di tutti. Costringendo la Regione a tirare fuori 50 milioni: 390 euro per ogni valdostano.