il manifesto 22.10.15
Una class action per l’accesso alla fecondazione assistita
di Filomena Gallo, Gianni Baldini
Il diritto di accesso alle cure in Italia non è uguale per tutti. Dopo la decisione della regione Puglia di non rimborsare più le prestazioni di Procreazione Medicalmente Assistita sia omologa che eterologa ai propri cittadini diretti verso altre regioni italiane anche Calabria, Sicilia, Campania hanno deciso di accodarsi. Ancora incerta la situazione alla Regione Lazio.
Salta così uno dei pilastri del sistema sanitario pubblico: la garanzia per i cittadini italiani di poter accedere in condizioni di parità alla prestazione sanitaria su tutto il territorio nazionale a prescindere dalla regione di provenienza.
A farne le spese tutte quelle coppie del Sud che nell’impossibilità di ricevere una prestazione di fecondazione assistita per mancanza di centri pubblici o privati convenzionati in grado di effettuarla ovvero per gravi difficoltà o interminabili liste di attesa nella propria regione potevano recarsi in altre regioni per usufruire della prestazione. La mobilità tra Nord e sud del paese per questo tipo di prestazioni arriva fino a punte del 90% in Calabria.
Alcune regioni (Toscana, Emilia, Veneto) hanno inserito la Pma nei livelli essenziali di assistenza (Lea) regionali con la conseguenza di far pagare solo un ticket per la prestazioni. La maggior parte delle Regioni pur non avendo inserito questi trattamenti nei Lea regionali rimborsavano la prestazione alla regione in cui i propri cittadini si recavano utilizzando anche le somme predisposte in virtù di legge 40/04.
Infatti in forza delle sentenze della Corte Costituzionale della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che hanno profondamente modificato la legge 40/04, l’impossibilità ad avere una gravidanza a termine per la coppia è stata considerata patologia che limitando un diritto fondamentale quale è quello alla genitorialità e a costituire per questa via una famiglia, costituiscono un aspetto essenziale di tutela del diritto alla salute di cui il servizio sanitario pubblico non può non farsi carico.
Il ministro della salute Lorenzin ha dato per acquisito l’inserimento delle prestazioni di Pma (sia omologa che eterologa) nei Livelli Essenziali di Assistenza nazionali fermi al 2001, ma l’approvazione dei Lea da parte della Conferenza delle regioni ancora non è ancora avvenuta e quindi nei Lea in vigore non c’è traccia della Pma. Molteplici i problemi anche da un punto di vista legale che si pongono.Innazitutto, nell’immediato, la questione investe le prestazioni in corso. Infatti per questioni elementari di affidamento nonchè di tutela della salute chi ha già iniziato il percorso terapeutico, con esami e assunzioni di medicinali non potrà interromperlo. In tal senso sono già state inviate diffide ai centri pubblici e privati di Pma che alla luce delle decisioni regionali intendevano sospendere le prestazioni.
Più in generale, si pone il problema di una macroscopica lesione del diritto di uguaglianza tra tutti i cittadini rispetto alla medesima prestazione sanitaria con grave penalizzazione tra nord e sud e tra regione e regione. In pratica le coppie toscane potranno accedere alla prestazione di Pma (omologa ed eterologa) pagando un ticket di 500 euro, quelle calabresi, campane, pugliesi dovranno pagare di tasca propria la prestazione (da 4000 euro in su oltre alle spese di viaggio e soggiorno).
Decine le richieste giunte all’Associazione Luca Coscioni e alle varie associazioni di tutela dei pazienti per ricevere assistenza legale per la predisposizione delle diffide e di possibili ricorsi. In considerazione delle caratteristiche comuni delle domande e dei possibili percorsi giudiziali, è allo studio la realizzazione di una «class action» che possa unire le centinaia di coppie che subiranno un gravissimo danno da questi provvedimenti.
** Gli autori sono rispettivamente segretario Associazione Luca Coscioni e docente Biodiritto Università di Firenze