mercoledì 21 ottobre 2015

Corriere 21.10.15
Perché non si può essere socialisti negli Usa
risponde Sergio Romano


Ho visto su Internet alcuni spezzoni del dibattito fra i candidati democratici alle elezioni presidenziali americane. Da europeo mi sembra che Bernie Sanders dica delle cose perfettamente sensate sul bisogno di aumentare le imposte dell’1 per cento e sul divario fra ricchi e poveri che sta trasformando l’America in un’oligarchia con una facciata democratica. Penso che in Europa vincerebbe. In America invece è considerato un «socialista» e basterebbe solo questo a renderlo ineleggibile. Eppure gli Stati Uniti hanno molte misure che di fatto sono socialiste: penso all’intoccabile «Medicare» che da decenni permette ai cittadini oltre i 65 anni di ricevere cure mediche a spese della collettività. Come spiega questo divario fra i fatti e l’immaginario?
Giovanni Caboto Di San Felice

Caro Caboto,
Lei ha ragione, Gli Stati Uniti, in molte circostanze, possono essere non meno socialisti delle forze politiche europee che si fregiano di questo nome. Accanto a «Medicare» lei potrebbe ricordare i numerosi interventi sociali decisi dal governo federale e dai singoli Stati, la grande riforma sanitaria della presidenza Obama e soprattutto la politica del New Deal. Dopo la sua elezione alla Casa Bianca del novembre 1932, Franklin Delano Roosevelt prese iniziative molto simili a quelle che furono adottate dalla sinistra democratica e autoritaria di alcuni Paesi europei. La domanda a cui occorre rispondere è un’altra: perché la maggioranza dell’opinione pubblica degli Stati Uniti confonde socialismo e marxismo, considera entrambi egualmente «unamerican», vale a dire come pericolosi nemici dell’ethos pubblico americano.Il socialismo è possibile, al di là dell’Atlantico, solo quando viene mascherato con altre formule e risolutamente negato.
La ragione di questo atteggiamento è nel concetto che gli americani hanno di se stessi e della loro storia. Sono stati educati a credere che all’origine della loro nazione vi sia stato il rifiuto dell’Europa, dei suoi vizi, dei suoi regimi polizieschi e autoritari, dei suoi re e dei suoi principi. Sono convinti che il capitalismo americano sia strettamente associato allo spirito d’impresa, all’audacia del pioniere, a un più intimo rapporto con la divinità. Se appartiene alla storia europea, una formula politica suscita sospetti e diffidenza.
Mi chiedo d’altro canto se Bernie Sanders possa essere considerato «social-democratico». È stato un «sessantottino» americano durante la guerra del Vietnam, ha partecipato a campagne per i diritti civili, ha fatto la sua carriera politica in uno Stato di 600.000 abitanti, il Vermont, dove «essere di sinistra»è soprattutto la capricciosa ostentazione della propria originalità. La sua denuncia del potere finanziario americano è «progressista», ma condita con toni semplicisti e populisti. Non è un riformista nello stile di Willy Brandt, Clement Attlee e Pietro Nenni. È un tribuno della plebe: una categoria che esiste anche negli Stati Uniti e ha già prodotto alcuni interessanti esemplari.