martedì 20 ottobre 2015

Corriere 20.10.15
Ma la partita con Bruxelles è stata soltanto rinviata
di Federico Fubini


Durante tutta la preparazione della legge di Stabilità, Pier Carlo Padoan non si è occupato solo delle coperture finanziarie o del menù dei possibili tagli alle tasse. Nella squadra di governo il ministro dell’Economia aveva anche, e in certe fasi principalmente, un altro compito. Doveva capire fino a che punto può spingersi l’Italia in Europa. Per settimane Padoan ha avuto scambi di idee con Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, i due commissari europei che condividono una coabitazione, a volte scomoda, nella centrale di vigilanza sui conti dei governi.
Dombrovskis è un centrista di 44 anni che, come premier fino al 2014, ha guidato la Lettonia attraverso uno dei più duri ma riusciti programmi d’austerità che l’Europa ricordi. Moscovici è un navigato socialista parigino, fino al 2014 ministro delle Finanze di un Paese il cui bilancio è ininterrottamente in deficit dagli anni 70.
Alla fine Padoan ha riportato da Bruxelles a Roma un messaggio convergente con accenti diversi: c’è giusto un po’ di spazio perché il governo ci provi. Una Legge di stabilità che punti a un deficit del 2,2% del Pil - invece dell’1,8% annunciato sei mesi fa o dello 0,9% ufficiale diciotto mesi fa - solleverà critiche e polemiche a Bruxelles. Ma non innescherà per forza una procedura formale contro l’Italia, né tantomeno sarà respinta per direttissima.
Il «fiscal compact», la cornice di regole pensate durante il panico del 2011, prevede in effetti questa opzione. Un Paese presenta un bilancio talmente incompatibile con i piani ufficiali di risanamento che la Commissione lo può respingere subito, in due settimane. A quel punto il governo sotto accusa deve cambiare la legge. Stava per accadere alla Spagna due settimane fa, prima che un giro di telefonate da Berlino e da Madrid bloccasse l’ingranaggio di Bruxelles all’ultimo istante (sette giorni fa è poi arrivata una critica pungente, ma non una stroncatura immediata).
Ieri da Bruxelles l’ Ansa ha raccolto i primi segnali che neanche per l’Italia ci sarà il respingimento immediato. Sarebbe diventato una possibilità concreta se si fosse prospettato un deficit in peggioramento appena un po’ più di quanto poi deciso dal governo (una volta eliminati dal calcolo gli effetti dei cicli economici). Ma la Legge di stabilità, deliberatamente, si tiene giusto all’interno di questa linea rossa: la calpesta senza superarla. L’altra area «proibita» di cui Padoan ha preso nota riguarda invece l’opzione che il deficit nel 2016 superi anche quota 2,2% del Pil e salga fino al 2,4%. Anche questa ipotesi innescherebbe una reazione molto rigida della Commissione e poi dell’Eurogruppo, il club dei ministri finanziari della moneta unica. Ma per ora non è prevista, almeno fino a quando non verrà permesso di trattare con più indulgenza le spese sostenute dallo Stato per l’emergenza immigrazione.
Malgrado le proteste con alti decibel, Italia di Matteo Renzi dunque ha deciso di non uscire dalla tenda delle regole europee: preferisce sondare costantemente fin dove può tirarne il tessuto prima che si strappi, e spingere il limite sempre un po’ più in là.
Mentre il premier polemizza contro l’«Europa maestrina», calcola anche che i rischi di un contraccolpo politico serio per ora sono sotto controllo.
Fino a quando lo resteranno, è la domanda alla quale nessuno oggi sa rispondere. Né a Roma, né a Bruxelles. Il 5 novembre la Commissione darà un primo assaggio con le sue «previsioni di autunno», che non servono tanto a capire come andrà l’economia ma come la vedono Dombrovskis e Moscovici. Poi a metà del prossimo mese il loro parere sui bilanci nazionali approderà all’Eurogruppo. È qui che emergerà che l’Italia probabilmente ha evitato una resa dei conti nei prossimi mesi, solo perché l’ha rinviata al prossimo biennio. Oggi a Bruxelles il governo chiede di poter spendere 3,3 miliardi in più per i migranti nel 2016, ma sa che il problema di fondo è dieci volte più grande: «clausole di salvaguardia» (cioè aumenti automatici dell’Iva e delle accise) per 34 miliardi di euro nei due anni seguenti. Sono 14 miliardi nel 2017 e quasi 20 nel 2018. Poiché Renzi e Padoan non intendono far scattare quegli aumenti delle tasse né preparano tagli di spesa corrispondenti, tra 12 mesi i conti con Bruxelles non torneranno più.
Ufficialmente il deficit dell’Italia è previsto all’1,1% del Pil (Prodotto interno lordo) nel 2017 e allo 0,2% nel 2018, ma tutti sospettano già che non scenderà mai sotto il 2% e forse risalirà verso il 3%. Neanche il debito calerà come concordato. Si capirà allora se anche la tenda dell’Europa, per quando grande e flessibile, prima o poi si strappa.