lunedì 19 ottobre 2015

Corriere 19.10.15
La barriera che divide Gerusalemme
6 metri l’’altezza della barriera che la polizia israeliana ha cominciato a costruire ieri a Gerusalemme Est
La polizia ha sparato a un eritreo scambiato per un attentatore «per il suo aspetto»
Un morto e 11 feriti in un attentato nel Negev
Lo Stato Islamico incita a «decapitare gli ebrei»
di Davide Frattini


Sono alti 6 metri e ricoperti con la pietra di Gerusalemme. Formano un muro che separa le case abitate dagli ebrei da quelle del villaggio palestinese di Jabal Mukaber. La barriera — precisa subito la polizia — non è politica, non divide le due parti della città che il premier Benjamin Netanyahu promette di mantenere unificata per sempre. E’ stata tirata su dagli agenti — e può essere rimossa, dichiarano i portavoce — per difendere gli edifici sotto attacco da mesi, colpiti con bottiglie incendiarie e pietre.
Il quartiere di Armon Hanatziv è stato costruito nel 1973 in quelle zone catturate ai giordani sei anni prima e poi annesse dal governo israeliano. Sulla «collina del governatore» i britannici avevano eretto il palazzo dell’Alto Commissario, adesso ospita il quartier generale delle Nazioni Unite. Considerato un insediamento illegale dalla comunità internazionale, Armon Hanatziv è stato pianificato assieme ad altre zone per creare un anello attorno e verso il centro della città.
Da Jabal Mukaber sono venuti i due terroristi palestinesi che martedì solo saliti armati di coltello e pistola su un autobus di linea e hanno ucciso due israeliani. Quello stesso giorno da Jabal Mukaber è arrivato in auto Ala Abu Jamal, che ha investito un gruppo di passanti, è sceso dalla macchina, ha cominciato a inseguire la gente con il coltello e ha ammazzato Yeshayahu Krishevsky.
L’ondata di attacchi non diminuisce. Lo Stato Islamico ha diffuso ieri un video in cui elogia «i combattenti della jihad a Gerusalemme» e li incita a «decapitare gli ebrei». Il dispiegamento dell’esercito a Gerusalemme, i posti di blocco e le barriere piazzati attorno ai quartieri arabi sembrano aver rallentato il ritmo degli attentati nella metropoli.
Sotto attacco è finita ieri un’altra grande città, Beer Sheva nel deserto del Negev, dove un terrorista è entrato nella stazione centrale con il pugnale, ha colpito un soldato ed è riuscito a togliergli il fucile automatico con cui ha cominciato a sparare sulla folla, fino a quando non è stato ammazzato: un soldato israeliano è stato ucciso, undici i feriti. All’inizio la polizia ha parlato di due attentatori. In realtà il «secondo» è un eritreo, un migrante entrato clandestino in Israele: le guardie gli avrebbero sparato «per il suo aspetto» ed è stato anche picchiato dalla gente inferocita. Aveva ottenuto il permesso di lavoro proprio ieri.
Beer Sheva ha sempre provato a essere un simbolo della coesistenza, lo ripete anche il sindaco in televisione dopo l’attentato: la metà degli abitanti nell’area metropolitana è araba musulmana, beduini che hanno la cittadinanza israeliana. Dista 60 chilometri da Hebron, in Cisgiordania, dove sabato ci sono stati tre attacchi e da dove nel 2004 Hamas aveva inviato due attentatori perché si facessero esplodere sugli autobus, 16 i morti israeliani. Fino ad allora non aveva subito l’ondata delle operazioni kamikaze.