Corriere 19.10.15
L’Egitto elegge il parlamento Il vero vincitore sarà Al Sisi
Giornalisti imbavagliati, partiti dell’opposizione messi al bando, polizia ed esercito in assetto di guerra di fronte ai seggi elettorali, posti di blocco nelle zone dominate dai Fratelli Musulmani: è in un clima di alta tensione che da ieri l’Egitto vota per rinnovare i 596 seggi del parlamento. Il risultato viene dato per scontato: vittoria su tutta la linea per il presidente, l’ex capo di stato maggiore Abdel-Fattah al Sisi, il generale che nel luglio 2013 ha rimosso il governo dei Fratelli Musulmani guidati dal presidente deposto (e ora in carcere con la spada di Damocle della condanna a morte) Mohammad Morsi. La sua strategia può essere riassunta nel gattopardesco «tutto cambia affinché nulla cambi». Al Sisi, al potere ormai da 16 mesi, si presenta come il garante del nuovo corso, il traghettatore del Paese caduto nel caos dopo la rivoluzione del 2011, circondato dai riverberi violenti del Medio Oriente in fiamme, con Isis alle porte in Libia, nel Sinai. Una sorta di «Mister sicurezza» disinteressato, padre della patria in pericolo. In realtà, il suo regime mira alla restaurazione dei vecchi equilibri. Il suo consenso resta saldamente trincerato nell’esercito (una delle istituzioni tuttora più popolari) e tra la classe imprenditoriale storicamente figlia del protezionismo statale. Non a caso tra i suoi sostenitori più fedeli sono i quadri dirigenti legati all’ex presidente deposto nel 2011 Hosni Mubarak. Solo due o tre anni fa gli uomini di punta del Partito Democratico Nazionale (la formazione di Mubarak rieletta puntualmente nel passato grazie a brogli e corruzione) erano in disgrazia, perseguitati, molti incarcerati. Ma con Al Sisi hanno riacquistato legittimità, ripreso le loro attività economiche. E adesso alcuni aspirano al posto parlamento da «cani sciolti». La recente riforma costituzionale prevede che solo 120 candidati siano inquadrati nei partiti. Ciò significa che verrà designato un parlamento polverizzato, composto da una miriade di formazioni minori incapaci di coerente ed efficace opposizione al governo. I Fratelli Musulmani sono stati messi fuori legge, come avveniva negli anni Ottanta e nell’epoca nasseriana. I giornalisti che protestano rischiano il licenziamento e il carcere in nome delle norme antiterrorismo. Le procedure del voto sono prolungate nel tempo. Tra ieri e oggi votano le 14 province più popolose. Altre 13, inclusa quella del Cairo, andranno alle urne il 22 e 23 novembre.