sabato 17 ottobre 2015

Corriere 17.10.15
Hitler, la mediocrità del male
Megalomania architettonica «La nuova Cancelleria del Reich va costruita in tali dimensioni che al confronto San Pietro e la sua piazza sembrino giocattoli!»
Le conversazioni del Führer: sproloqui, insolenze, vanità, un gran disprezzo per le donne
di Gian Antonio Stella




«Con simili collaboratori posso permettermi di fare giravolte a centottanta gradi, come è avvenuto, senza che nessuno muova un muscolo». Era soddisfattissimo, Adolf Hitler, dopo l’attacco alla Russia del 22 giugno 1941. L’«operazione Barbarossa» violava l’accordo con Stalin che solo pochi giorni prima la Tass considerava blindato? Il popolo non se ne sarebbe manco accorto: a plasmarlo ci avrebbero pensato i giornali, la radio, la propaganda… « Uno Stato che dispone di una stampa ispirata e ha in pugno i giornalisti dispone del più grande potere che si possa immaginare».
E aveva ragione, nella sua infame insolenza. Lo conferma il libro Così parlò Hitler , scritto dal nostro Fabrizio Dragosei (Mursia). Che grazie agli anni a Mosca ha potuto raccogliere non solo una quantità di insulti, sfoghi, deliri raccontati nei decenni dagli storici dei Paesi del Patto di Varsavia, ma una copiosa collezione di virgolettati, spesso inediti, sepolti a lungo negli archivi moscoviti.
«Hitler parlava molto e ci teneva a non esser equivocato. La sera, durante le cene che spesso avevano luogo a tardissima ora, lui teneva banco. Dopo aver mangiato, continuava a intrattenere i suoi interlocutori per ore. E il fedele segretario Martin Bormann aveva messo in piedi un servizio di stenografi che registravano ogni parola del Führer». Ne esce un ritratto che, al di là dei crimini e degli orrori («Se gli ebrei rifiutano di andarsene volontariamente, non vedo altra soluzione che lo sterminio»), conferma in pieno la tesi di Hannah Arendt sulla banalità del male.
Dà le vertigini dirlo, ma ciò che più colpisce nel diluvio di parole (a Bamberg nel 1926 sbrodolò per cinque ore!) è la mediocrità. Il pressapochismo. Le spiritosaggini da caserma. Lo sproloquio da ubriacone: «Sono sicuro che Nerone non ha mai incendiato Roma; furono i cristiani-bolscevichi a farlo…».
Promesse da ciarlatano: «Costruiremo un milione di abitazioni ogni anno per cinque anni, per mettere fine alla crisi degli alloggi. Il tempo necessario per costruire una casa non deve superare i tre mesi». Sfoghi contro «la mafia dei cuochi: questi re delle padelle sono tutti degli idioti ridicoli… Dove è finito il vecchio pasto fatto di un piatto solo?». Scaramanzie partenopee: «Qualche imbecille tirò fuori che Napoleone, come noi, aveva iniziato la campagna di Russia il 22 giugno. Grazie a Dio sono stato in grado di respingere quest’idea citando storici affermati secondo i quali la campagna di Napoleone non iniziò che il 23».
E poi i bla-bla da birreria: «Il fatto di parlare parecchie lingue non è un segno di intelligenza. Si incontrano spesso bambini che parlano tre o quattro lingue per la semplice ragione che hanno governanti straniere. Le spagnole, anche se parlano parecchie lingue, sono pur sempre delle oche. La moglie di Franco, ad esempio, va ogni giorno in chiesa!». Non mancano i borbottii misogini: «Nel piacere che una donna prova a farsi bella, entra sempre un elemento torbido, qualcosa di perfido…». Sposarne una, poi! «Sarei costretto a vedermi sempre di fronte un viso afflitto e crucciato, oppure dovrei trascurare i miei doveri! (…) Molto meglio avere un’amante. Così si aboliscono gli oneri e tutto diventa un regalo. Naturalmente ciò vale soltanto per gli uomini di eccezione».
E poi vanità, per dirla con Gassman, «sc-sc-scientifiche»: «Ho dato istruzioni perché si studiasse la possibilità della propulsione di un battello a mezzo di eliche laterali, allo stesso modo che i pesci hanno delle pinne». Ambizioni pontificie: «In occasione dell’elezione di un Papa, il popolo ignora ciò che avviene dietro le quinte. (…) Un principio da rispettare per l’elezione del Führer; ogni conversazione è proibita tra gli elettori finché durano le operazioni».
Vagheggiava di rifare Berlino: «Chi entrerà nella Cancelleria del Reich dovrà avere la sensazione di entrare nella casa del padrone del mondo». Voleva tutto enorme: «Dobbiamo costruire in tali dimensioni che al confronto San Pietro e la sua piazza sembrino giocattoli!». Titillava l’idea di un parco di autoblu: «La nuova Cancelleria dovrà disporre in permanenza di duecento automobili tra le più belle (…) e gli autisti potranno fungere anche da valletti». Aveva in orrore duchi, prìncipi e marchesi: «Per il bestiame si fanno sforzi continui per migliorare la razza, ma nel caso dell’aristocrazia si ottiene il contrario».
E via via che leggi ti chiedi: ma come fecero i tedeschi a invaghirsi di uno così? Liquidava Winston Churchill come «il tipo del giornalista corrotto: non c’è una prostituta peggiore in politica». Disprezzava Franklin D. Roosevelt: «Si comporta come un azzeccagarbugli giudeo e recentemente si è direttamente vantato di avere “nobile” sangue ebreo nelle vene. E l’aspetto completamente negroide della moglie è una chiara indicazione che anche lei è una mezzo-sangue». Stravedeva (inizialmente) per Benito Mussolini («Ho avuto modo di paragonare il suo profilo con quello dei busti romani e ho compreso che egli era uno dei Cesari») e per l’arte d’Italia («Il più modesto palazzo di Firenze o di Roma vale più che tutto il castello di Windsor»), ma non per gli italiani: «Su di loro non si può fare affidamento». In compenso, a riprova che tra simili ci si piglia, ammirava Stalin: «È una delle figure più straordinarie della storia. (…) Una personalità eccezionale, un asceta che ha stretto nel suo pugno di ferro quel gigantesco Paese».
Tutto era facile, tutto già fatto. La conquista di Mosca, da affogare aprendo le chiuse della Moscova: «Deve scomparire dalla faccia della Terra». La presa del Vaticano: «Poi in un secondo momento ci scuseremo». Lo sfruttamento delle risorse nelle «colonie slave» e nelle altre terre conquistate: «Forniremo cereali a tutta l’Europa; la Crimea ci darà il caucciù, il cotone e i frutti del Sud; le paludi del Pripët ci forniranno le canne; agli ucraini faremo avere fazzoletti di seta, chincaglieria e tutto ciò che piace ai popoli coloniali...». L’Ucraina? Tedeschizzata, «sarà uno dei più bei giardini del mondo». La Norvegia? «Sarà la centrale elettrica per l’Europa settentrionale». La Svizzera? Ma per carità! Gli svizzeri «potremo, tutt’al più, utilizzarli come albergatori…». I sudtirolesi? «La Crimea sarà ideale per loro sia da un punto di vista climatico che geografico e a paragone dei loro attuali luoghi di residenza si rivelerà una vera terra di latte e miele. Il loro trasferimento in Crimea non presenta alcun problema fisico o psicologico. Tutto quello che dovranno fare è navigare giù per un fiume germanico, il Danubio, e saranno arrivati…».
E torniamo alla domanda: come fecero, i tedeschi, a prendere quella sbandata terrificante per un ciarlatano criminale di tal fatta?