sabato 17 ottobre 2015

Corriere 17.10.15
Pitture, rilievi e sarcofagi Il ponte d’arte con l’Olanda La collaborazione Dal periodo predinastico all’epoca romana. L’alleanza tra i due musei evidente nella ricomposizione dei frammenti della tomba di Horemheb
Unite due grandi collezioni con uno spirito comune
di Viviano Demenici


Dopo La ragazza con l’orecchino di perla, un altro «filo» tra arte e storia unisce Bologna ai Paesi Bassi. O, meglio, un «tassello», come quelli che, messi eccezionalmente assieme dal Museo Civico Archeologico bolognese e da quello olandese di Leiden, restituiranno a chi capita sotto le Due Torri il grande puzzle dell’epoca dei faraoni.
Egitto. Splendore millenario mette infatti assieme 500 reperti che vanno dal periodo predinastico all’epoca romana lungo un percorso di quasi 1.700 metri quadri e suddiviso in ben sette sezioni. Ritrovamenti che sono giunti appositamente da Leiden, ma anche dal Museo Egizio di Torino e dall’Archeologico di Firenze. Si potrà ammirare la Stele in calcare di Aku (XII-XIII Dinastia, 1976-1648 a.C.), il «maggiordomo della divina offerta» che illustrava già allora un mondo diviso tra cielo, terra e regno dei morti; oppure le cinture e i pettorali dorati, figurati a fiore di loto (1479-1425 a.C), donati in persona dal faraone Thutmose III al comandante Djehuty, dopo che ebbe conquistato il vicino Oriente con le sue truppe; o un vaso del periodo Naqada che ci restituisce con i suoi dipinti un Egitto rigoglioso.
E poi monili, ami da pesca, coltelli in selce, sarcofaghi, rilievi con prigionieri nubiani, pitture lignee che coprivano il volto delle mummie e addirittura un manico di specchio in legno e avorio, a testimonianza di quanto fosse evoluto il popolo della valle del Nilo. Ma è nella sezione «La necropoli di Saqqara nel Nuovo Regno» che Bologna e Leiden metteranno veramente in comune i loro tasselli: qui verranno ricongiunti i più importanti rilievi di Horemheb, altro generale al servizio di Tutankhamon nonché ultimo sovrano della diciottesima dinastia, i cui esponenti fecero proprio di Menfi, città vicina a Saqqara, il fulcro delle loro guerre d’espansione.
È con questa stanza che si cementa la collaborazione innescata cinque anni fa tra i due musei nell’ambito degli scavi nella necropoli egizia. Per esempio dall’Olanda, per la prima volta, arriveranno le statue di Maya, custode del tesoro reale di Tutankhamon, e Meryt, cantrice di Amon, (XVIII dinastia, 1333-1292 a.C.). «Noi possediamo cinque frammenti parietali e gli olandesi qualcuno in più, uniti ad altri di Firenze vanno a ridisegnare la corte interna della tomba di Horemheb, ricomponendo la percentuale più alta dei ritrovamenti avvenuti in quella spedizione», spiega Daniela Picchi, che con la direttrice dell’ente bolognese Paola Giovetti ha curato la mostra, a sua volta prodotta da Comune di Bologna e Arthemisia Group. Il tandem petroniano-olandese «continuerà in un altro riavvicinamento, quello della scultura del funzionario Hormin, guardiano dell’harem del sovrano Sety I, detenuta da Leiden, con un nostro rilievo proveniente dalla sua tomba e quello del cofanetto portatessuti del dignitario Terpaupi con un suo sgabello conservato in Olanda». «La raccolta olandese è molto in sintonia con quella di Bologna — ricorda Paola Giovetti — sia per la storia della loro formazione, legata al collezionismo ottocentesco, sia per la varietà degli scavi mirati da parte degli stranieri in Egitto».
A guardare la loro origine, i due musei ritrovano un altro denominatore comune. «Sono entrambi collezioni che iniziano tra 1500 e 1600 e che torneranno a toccarsi a fine 800 — sottolinea Picchi — Pelagio Pelagi cedette al museo petroniano i suoi 100 reperti raccolti tra 1824 e 1845. In quegli anni il suo referente era Giuseppe Nizzoli, cancelliere al consolato d’Austria in Egitto: è da lui che lo storico acquistò la sua terza collezione.
Curiosamente un altro diplomatico, Giovanni D’Anastasi, console svedese, vendette la sua terza collezione, la più prestigiosa, proprio al Museo di Leiden nel 1828. Come vede c’era accanita competizione nella ricerca delle antichità». Concorrenza deposta a quasi due secoli di distanza per diventare per nove mesi uno dei maggiori centri dell’archeologia menfita.