sabato 17 ottobre 2015

Corriere 17.10.15
Maya e Meryt, gli Underwood dell’antichità
Le statue della potente coppia al servizio dei sovrani. Come Frank e Claire in «House of Cards»


Chi conosce la serie tv «House of Cards» non avrà difficoltà a immaginarseli come il Frank e la Claire Underwood della prima stagione: lui deputato ambizioso al Congresso degli Stati Uniti, lei sacerdotessa del no profit che conta, entrambi innamorati dell’altro appena più che del potere, e comunque inseparabili.
Inseparabili, lo scriba Maya e la cantrice Meryt lo sono da 3.300 anni: vissuti all’alba del Nuovo Regno, tra il regno di Akhenaton (1352-1336 A.C.) e quello di Horemheb (1319-1292 A. C.) e tumulati insieme in una tomba più sontuosa e raffinata di quella di Tutankhamon, sono arrivati ai giorni nostri in forma di statue alte due metri (la dimensione era un segno di deferenza verso il defunto) più una statua doppia, portati nel 1829 dalla missione del console olandese Giovanni Anastasi e da allora patrimonio del Museo di Antichità di Leiden, che oggi li ha prestati al Museo Civico Archeologico di Bologna per la mostra Egitto. Splendore millenario .
Il primo a riferire della loro tomba fu l’archeologo tedesco Karl Lepsius, in missione nelle necropoli vicino a Menfi per conto del re di Prussia Federico Guglielmo IV, nel 1824. Però, nei suoi disegni, la collocò qualche metro più in là di dove realmente era: quando più di un secolo dopo l’egittologo Geoffrey Martins andò a Saqqara a cercarla, si imbatté invece nella tomba di Horemheb, l’ultimo faraone della diciottesima dinastia. Una tomba stupenda, sontuosa; ma mai come quella di Maya e Meryt, che fu ritrovata nel 1986.
E che oggi (con le sue due cappelle, le sei camere sotterranee a fregi gialli e neri e la sua profondità di 22 metri, più una corte esterna e una interna) diremmo faraonica: ma né il tesoriere (e ministro, e funzionario, e sovrintendente dei lavori delle necropoli) Maya né la sua amata Meryt, erano faraoni né parenti. I due, però, erano una vera «power couple»: lui, figlio di un magistrato, iniziò la scalata come maestro cerimoniere ai funerali dei sovrani, per poi diventare esattore capo, portatore del vessillo reale e infine organizzatore delle offerte, carica che ricopriva quando morì; lei, Meryt, non stava certo un passo indietro, essendo una nota «cantrice», cioè una musicista e cantante dalle funzioni para-sacerdotali, nel culto di Amon, e un’influente presenza a corte, come testimoniano i gioielli che adornano la sua statua. Meryt indossa una parrucca di treccine, fissata da una tiara e adornata da un loto sulla nuca; la collana che porta, un «menat», è un tipo di gioiello che personifica la dea della fertilità Hathor, così pesante da dover essere retta da un contrappeso sulle spalle.
E Hathor, dea antichissima del piacere, della gioia, della fertilità — membro del Pantheon che il Nuovo Regno imminente avrebbe poi accantonato, in favore del culto monoteistico del Dio-sole Aton — fece in tempo ad arridere alla coppia di cortigiani. Che ebbero due figlie, Mayamenti e Tjauenmaya, e insieme formarono un sodalizio influente e inossidabile.
Si pensa che Maya fosse una sorta di «eminenza grigia» attraverso più regni: quello di Akhenaton, che vide morire; del figlio Tutankhamon, che salì al trono giovanissimo e da Maya fu avviato, se non educato, agli usi del potere; fino a Horemheb, che spostò il centro di potere da Amarna a Menfi.
E con il potere, la corte: ad Amarna, Maya e Meryt si erano incontrati e sposati, e avevano avviato la loro carriera di coppia di potere; a Menfi, arrivati già ricchi e influenti insieme al nuovo faraone, invecchiarono e morirono (prima lei, si suppone, di lui) per lasciare il posto a nuovi notabili, nuovi potenti. E a una nuova dinastia, la diciannovesima: il successore di Horemheb sarebbe stato Ramesse I, e l’Egitto stava per diventare un impero.