sabato 17 ottobre 2015

Repubblica 17.10.15
Se gli intellettuali svoltano a destra per puro marketing
Tanti autori folgorati dal tema dell’identità francese
Scelta politica? No,solo mediatica
Siamo lontani anni luce da un Sartre schierato con gli operai o da un Foucault che denunciava le condizioni carcerarie
di Christian Salmon


Un nuovo «caso» sta scuotendo la Francia: gli “intellettuali” sarebbero ormai schierati a destra, o in altri termini, passati dalla parte del nemico. Tradimento? Eresia? Il caso merita una riflessione, poiché segna una nuova tappa della mutazione iniziata più di trent’anni fa con i “nuovi filosofi”. E’ da allora che la figura dell’intellettuale, nata al tempo dell’”affaire Dreyfus”, si decompone sempre più sotto le bordate della globalizzazione, della rivoluzione neoliberista e della terza rivoluzione industriale. Al centro di questo nuovo caso figurano quattro personaggi che a prima vista non hanno nulla in comune. Houellebecq, romanziere navigato, ha l’abilità di situare le tematiche dei suoi romanzi al centro dei dibattiti in atto nella società.Eric Zemmour è un polemista nostalgico di una Francia senza stranieri. Alain Finkielkraut, autore di saggi declinisti, si scaglia contro un’immigrazione snaturante, una scuola squalificante e l’assuefazione alle nuove tecnologie. Quanto a Michel Onfray, è autore
di successo di una controstoria della filosofia, demolitore di tutte le idolatrie, compresi Freud e la psicanalisi. Sono tutti accusati di deriva a destra, e di fare il gioco del Front National. Siamo lontani da un Sartre schierato con gli operai della Renault in sciopero (francesi e immigrati), da un Foucault che denunciava le condizioni di vita dei carcerati (francesi e immigrati).
Questo gruppo di intellettuali preoccupati per l’identità francese, minacciata dalle ondate di immigrazione, non denuncia più il razzismo ma l’antirazzismo, e si schiera in difesa del “popolino” disprezzato, a tutto vantaggio dei rifugiati, e del “français de souche” (il francese d’origine). Non si può comprendere un simile voltafaccia senza entrare nella logica dell’universo mediatico. In un mondo saturato di informazioni, l’attenzione è la più rara delle risorse: solo un messaggio shock, più clamoroso di quello che l’ha preceduto, può avere qualche probabilità di captare l’attenzione. I comportamenti da adottare nell’universo concorrenziale dei canali tv sono tutti calcolati per ottenere, come scrive George Steiner, «il massimo impatto e un’istantanea obsolescenza». E questa duplice esigenza favorisce il generalizzarsi di comportamenti trasgressivi.
È il caso di Michel Onfray, quando in piena crisi dei profughi denuncia le «messe catodiche » in favore degli immigrati, anteposti al «popolo francese disprezzato». Onfray si fa avvocato di «questo popolo old school», il «nostro popolo », il «mio popolo», non senza precisare che chi parla a questo popolo è Marine Le Pen. Successo garantito. Ma già la breccia era stata aperta da Alain Finkielkraut all’epoca delle rivolte delle banlieue, quando si era scagliato violentemente contro i «neri», gli «arabi» e l’islam. Michel Houellebecq tocca le stesse corde, dichiarando che «la religione più cretina resta comunque l’islam». Quanto a Eric Zemmour, cavaliere dell’Apocalisse identitaria, né romanziere né filosofo ma polemista di professione, dichiara, all’indomani del naufragio costato la vita a varie centinaia di persone, che «i naufraghi di Lampedusa non sono profughi ma invasori».
Analizzando l’irruzione dei nuovi filosofi nel mondo intellettuale, alla fine dei Settanta, Gilles Deleuze si guarda bene dal discutere i contenuti delle loro posizioni, ma mette a nudo le leggi delle loro performance mediatiche, e quella che definisce «la trovata del marketing». E rileva due indizi che strutturano tuttora gli interventi degli intellettuali mediatici. Innanzitutto, procedono per concetti grossolani, tagliati con l’accetta. Ieri c’era la Legge, il Potere, il Gulag. Oggi c’è l’Identità, il Popolo, la Nazione, lo Straniero, la Razza, la Scuola, la Laicità. Secondo indizio: la personalizzazione del pensiero. «Quanto più debole è il contenuto di un pensiero, tanto maggiore è l’importanza che acquista il pensatore ». Anche in questo caso, l’efficacia è garantita dai talk show, che hanno bisogno di personalizzare il pensiero e la politica.
Ma solo in Francia questa farsa è arrivata a livelli così estremi. In quest’autunno 2015 sta assumendo le proporzioni un vero carnevale delle streghe, una notte di Walpurga in cui l’intellettuale mediatico getta alle fiamme ciò che aveva adorato e si assoggetta alla temperie dominante, facendo proprie le icone dell’identità, della nazione e del popolo. Sono anni che i media, con una perseveranza che sconfina nell’ossessione, fanno da palcoscenico all’enfasi identitaria. Gli intellettuali mediatici non sono altro che i loro portavoce, senza neppure il privilegio di essere stati i primi. La deriva a destra degli intellettuali è la forma che assume il loro allineamento alla doxa mediatica, la loro sottomissione al clima dominante, all’aria che tira. Se vanno a destra, non è per una loro inclinazione, ma perché seguono la china delle idee preconcette.
Sono assorbiti dal buco nero dei media, che inghiotte e divora ogni esperienza reale di creazione o di pensiero. Ma l’intellettuale non è il solo a cedere al fascino del lupo che avanza, dissimulato dietro le sembianze della Notorietà. A soccombere sono tutte le figure del potere: quella del politico, dell’intellettuale, del giornalista (il quarto potere). L’uomo politico ha perso la sua capacità di agire, il giornalista la sua indipendenza. L’intellettuale è inoperoso – privato dell’opera. Queste tre figure spogliate del loro potere si fondono per dar vita all’istrione, al polemista, che è la forma terminale dell’intellettuale mediatico – un intellettuale addomesticato.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)