giovedì 15 ottobre 2015

Corriere 15.10.15
Quel dossier sui carmelitani scalzi
Prostituzione gay, droga e omertà
di Fabrizio Peronaci


ROMA È una storia che nel quartiere Pinciano — ceto medio alto, il più bel parco della capitale sotto casa e le magnificenze del Bernini e del Tiziano nella vicina Galleria Borghese — molti sentivano sussurrare da tempo. L’amore sacro e l’amor profano. L’ultimo scandalo sessuale — che ha provocato sussulti ai vertici della Chiesa e le pubbliche «scuse» di papa Francesco — è ambientato qui, in una fetta della Roma bene.
Tonache inquiete, travolte dal demone della carne. Da un lato la parrocchia intitolata a Teresa d’Avila, la suora spagnola vissuta nel XVI secolo famosa per il suo misticismo, e dall’altro l’attigua Curia generalizia, quartier generale dei carmelitani scalzi e, si è scoperto, sentina di molti vizi.
L’ingresso è su corso d’Italia, civico 38: il pesante portone, vigilato da telecamere e da uno scorbutico portiere, poteva far presagire qualcosa, ma non tutto quel che è emerso. La situazione, man mano che nell’ultima settimana (grazie a un’inchiesta del Corriere ) venivano alla luce i dettagli, si è rivelata senza precedenti: rapporti mercenari, tra i cespugli e nei sottopassi stradali, tra un alto prelato e alcuni prostituti contattati a Villa Borghese; sospetti su un paio di altri religiosi; reticenze e complicità dei superiori; uscite laterali del convento lasciate incustodite per consentire le «scappatelle» notturne; intimidazioni verso i padri che volevano denunciare l’andazzo; e, ancora, presunte «molestie» verso un giovane sacerdote molto apprezzato dai ragazzi dell’oratorio, il quale, 4 anni fa, restò talmente traumatizzato dal lasciare dall’oggi al domani l’abito talare, e ora lavora in una gelateria.
Uno scenario da novella medievale. L’ordine teresiano, che proprio quest’anno festeggia il cinquecentenario della nascita della fondatrice, senza l’intervento di Bergoglio avrebbe rischiato di sprofondare di altri due secoli indietro, ai tempi del Boccaccio. Non è un caso che il Pontefice abbia preso le distanze in modo irrituale, per certi versi clamoroso: sulla base del dossier in suo possesso, evidentemente, deve aver concluso che non fossero necessarie ulteriori «indagini» interne. Lo scandalo, d’altronde, era conosciuto nelle alte sfere da settimane, in seguito a una mossa che si è rivelata un boomerang .
Il superiore generale dell’ordine, infatti, prima dell’estate aveva disposto il trasferimento in altre sedi sia di quattro padri della Curia (tra cui il «reo») sia dei tre della parrocchia, ponendo in tal modo tutti, innocenti e colpevoli, sullo stesso piano. È stata la classica goccia, per i parrocchiani già turbati.
Un gruppo di loro, così, prima ha chiesto conto del «repulisti» ai vertici dei carmelitani e poi, non avendo avuta risposta, ha inviato una lettera-denuncia (con 110 firme) al cardinale vicario, Agostino Vallini, e per conoscenza al Papa e al Segretario di Stato. Non basta. Nel frattempo, grazie all’azione del viceparroco, schierato al fianco dei fedeli «moralizzatori», è stato realizzato un dossier nel quale, oltre alla cronistoria dei fatti, sono state elencate prove di una certa concretezza, come le dichiarazioni di un paio di prostituti in rapporto per anni con il prelato. Uno dei due, domenica scorsa, era a messa a Santa Teresa. «Mi contattò nel 2004 a Villa Borghese, chiedendomi una sigaretta. Non sapevo fosse un prete, lo scoprii a un funerale. Prima di fare sesso assumeva sostanze eccitanti come il popper», ha raccontato all’uscita. Anche questa confessione si trova nel dossier consegnato a Vallini. Troppo. Occorreva rassicurare i fedeli e affermare con forza verità e trasparenza. Due segnali che ieri, con le parole amare e solenni del Papa, sono arrivati.