mercoledì 14 ottobre 2015

il manifesto 14.10.15
La violenza figlia delle politiche di Netanyahu
Intifada di Gerusalemme. Parla l'intellettuale e saggista Michel Warschawski (Mikado). «Le provocazioni continue del governo israeliano, la colonizzazione dei Territori occupati e la fine dell'illusione del processo di pace, sono le ragioni della nuova rivolta. La condizione più difficile è quella dei palestinesi di Gerusalemme»
di Michele Giorgio


GERUSALEMME Per il primo ministro Netanyahu l’escalation di attacchi palestinesi è soltanto una nuova campagna terroristica lanciata per odio nei confronti degli ebrei e non avrebbe legami con le politiche di Israele nei Territori occupati e a Gerusalemme. A contestare questa tesi non sono soltanto i palestinesi – il segretario dell’Olp Saeb Erekat ieri ha addossato tutte le responsabilità alle «politiche israeliane di occupazione, delle colonie e di Apartheid» — ma anche alcuni intellettuali ebrei come il saggista Michel Warschawski, più noto in Israele come Mikado. Lo abbiamo intervistato ieri a Gerusalemme.
Per molti leader politici israeliani, a cominciare dal primo ministro, questo conflitto non ha radici che scendono profonde negli anni passati. Come se fosse sorto appena qualche giorno fa.
Tante persone, anche all’estero, hanno la memoria corta. La violenza palestinese alla quale assistiamo da qualche giorno a questa parte non è fine a se stessa, immotivata, come cercano di far passare i leader israeliani. Piuttosto è il risultato di qualcosa di profondo. Perchè è divampata adesso? Le ragioni sono soprattutto due. La prima è che è terminato il tempo che la popolazione palestinese aveva messo a disposizione del presidente dell’Anp Abu Mazen per negoziare e raggiungere un accordo con Israele. Credo che i palestinesi, incluso Abu Mazen, abbiano compreso che non c’è alcun partner israeliano che voglia negoziare sul serio e non solo portare avanti trattative senza futuro. Siamo alla fine dell’illusione del cosiddetto processo di pace. La seconda ragione è la lunga serie di gravi provocazioni compiute dal governo israeliano a danno dei palestinesi, a partire da quella avvenuta sulla Spianata delle moschee di al Aqsa, senza dimenticare la continua espansione delle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme. Se mettiamo insieme queste provocazioni con la fine dell’illusione del processo di pace, si ottiene la reazione vista in questi ultimi giorni, che è stata spontanea.
Netanyahu ripete che il suo governo non modificherà lo status quo della Spianata delle moschee. I palestinesi e il mondo islamico non gli credono.
Le provocazioni compiute da organizzazioni e gruppi che, spesso appoggiati da ministri e deputati, cercano di imporre la sovranità israeliana ed ebraica sulla Spianata hanno contribuito ad innescare questa Intifada. Su questo non ci sono dubbi. Non dimentichiamo anche i continui raid della polizia in quel sito sacro per i musulmani di tutto il mondo, che hanno generato sdegno persino tra i palestinesi cristiani. Se queste provocazioni sulla Spianata delle Moschee non cesseranno, ogni scenario sarà possibile. Per questo motivo persino un leader arabo moderato come re Abdallah di Giordania è intervenuto con forza su Netanyahu per dirgli di mettere fine alle violazioni sulla Spianata che possono creare una valanga devastante.
Dati diffusi nelle ultime ore dicono che l’80% degli attacchi avvenuti a Gerusalemme nelle ultime due settimane sono stati compiuti da palestinesi residenti nella città. Cos’è Gerusalemme oggi per un palestinese?
È la situazione peggiore in cui un palestinese che possa vivere dopo Hebron (città della Cisgiordania meridionale divisa in due, ndr). Se da un lato l’annessione unilaterale a Israele della zona araba della città (occupata militarmente nel 1967, ndr) ha dato alcuni benifici ai palestinesi che vi abitano, come l’assistenza sanitaria israeliana, dall’altro più di una generazione di palestinesi di Gerusalemme ha dovuto sopportare un’aggressione incessante nei loro quartieri, finalizzata a isolare le aree arabe e a circondarle di colonie israeliane. Con l’obiettivo di rendere Gerusalemme una città solo israeliana. I palestinesi (di Gerusalemme) sono al centro di questi piani e, allo stesso tempo, sono isolati dal resto della Cisgiordania a causa del Muro di divisione costruito da Israele tra la città santa e i Territori occupati.
Il silenzio della sinistra israeliana è assordante.
Se parliamo del Partito laburista e di Peace Now, possiamo affermare con assoluta certezza che non esistono più, sono svaniti nel nulla. Pensate, Yitzhak Herzog, leader di quel partito che si fa chiamare ancora laburista, è impegnato in una gara a destra con Netanyahu. Sostiene che il primo ministro sia incapace a “fermare il terrorismo e riportare la calma nel Paese”. Quella che un tempo era nota come la sinistra moderata nei fatti non esiste più. Certo, c’è sempre la sinistra radicale ma riesce a mobilitare soltanto alcune centinaia delle migliaia di persone che un tempo si vedevano alle sue manifestazioni.
Perchè il mondo, soprattutto quello occidentale, non comprende e non appoggia più le aspirazioni dei palestinesi.
Esiste una differenza tra l’opinione pubblica internazionale e la cosiddetta comunità internazionale. La prima contesta le politiche del governo israeliano ed è largamente impegnata a favore di una soluzione per questa terra fondata sulla giustizia e i diritti. La comunità internazionale, composta da governi ed istituzioni ufficiali, è fortemente condizionata da Benyamin Netanyahu. Fa i conti con un premier e il suo governo che senza problemi fanno capire che non terranno conto dell’opinione degli stranieri e che continueranno certe politiche. Il mondo dovrebbe sfidare, mettere in discussione questo atteggiamento del governo Netanyahu, invece non lo fa e si accontenta di pensare che in fin dei conti Israele è una roccaforte di stabilità in una regione in crisi, dove agiscono movimenti estremisti come l’Isis. Netanyahu lo sa, punta la sua politica estera proprio sui timori degli occidentali e, anche grazie a questo, riesce a tenerli dalla sua parte.