martedì 13 ottobre 2015

Corriere 13.10.15
Spezie
Esplorazioni e alta finanza
L’insostenibile leggerezza del pepe nella nascita e caduta degli imperi
Dallo zenzero alla cannella, persino le invenzioni della Borsa e dei «futures» sono figlie dei grandi viaggi alla ricerca degli aromi che rendevano fino al 250 per cento: un traffico ricco pure per gli Stati che potevano trattenere anche il 30 per cento in tasse
di Nicola Saldutti


288 Le spezie conosciute secondo uno studio dell’Università di Venezia 177 La percentuale di crescita registrata dal mercato delle spezie negli ultimi 30 anni 250 Le migliaia di tonnellate di produzione mondiale di pepe registrate in un anno

Sono linee nel mare, le spezie. Sono carovane nel deserto. Sono monopoli decaduti. Sono Stati diventati potenze e poi in declino, esplorazioni dei portoghesi che arrivano a Calicut, nel 1498, con le tre navi di Vasco de Gama. Sono ricchezze passate di mano, come scriveva nel 1506 l’ambasciatore Querini della Repubblica di Venezia. Nella sua relazione al Senato elencava le quotazioni del pepe: alla partenza dalle terre d’Oriente valeva tre, all’approdo a Lisbona il suo valore era già salito a 22. La noce moscata delle Molucche iniziava il suo lungo viaggio per mare valendo tre per essere venduta in Portogallo cento volte più cara. Ad un certo punto la Borsa di Anversa, nel 1541, proprio per le forti oscillazioni delle quotazioni, dovette vietare le «scommesse». Perché alle spezie si deve anche l’«invenzione» della speculazione finanziaria. Ben prima dei tulipani, con il crollo del 1637. Quei carichi provenienti dai caravanserragli, imbarcati su navi che affrontavano rischi di navigazione altissimi, erano troppo preziosi e potevano rendere fino al 250 per cento del capitale impegnato. Valutazioni e corse finanziarie paragonabili a quelle dell’odierno hi-tech. Persino le tasse, in qualche modo nascono con le spezie: gli Stati trattenevano il 30 per cento del valore.
Sono un tuffo nel passato e nella storia dei grandi popoli. Nello studio elaborato per il cluster Expo delle spezie dall’Università di Venezia si legge che hanno persino sovvertito le regole del commercio: «Vennero prima sfruttate, scambiate e trattate e solo in ultimo scoperte». Se ne elencano 288. Zenzero, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, curcuma, coriandolo, zafferano hanno per certi versi attraversato e, soprattutto, cambiato la storia.
Molti naviganti non sarebbero mai partiti se non fosse stato per cercarle. Si deve al portoghese Antonio de Abreu nel 1511 l’arrivo alle isole Banda, duemila chilometri a est di Giava. Solo per risalire la rotta e arrivare da dove provenivano noce moscata e chiodi di garofano. È bello anche seguire il corso delle parole per cercarne le tracce e le radici comuni, come ha ricordato di recente Giovanni Canova, dell’Università Orientale di Napoli: la resina d’incenso si ottiene dall’incisione di alberi di Boswelia sacra Flueck che crescono nell’Arabia del sud. La parola araba lubban significa incenso e la radice «lbn» è la stessa in assiro, ebraico, aramaico, etiope, fino al greco libanos e al latino olibanum. È associato all’idea di bianchezza.
Parole che risalgono i secoli. Persino la scoperta del vento. Soltanto quando i navigatori capiscono che i monsoni soffiano sempre sulla stessa rotta, cambiando direzione ogni sei mesi, tutto diventa (un po’) più facile per la consegna dei loro carichi. Ferdinando Magellano dopo aver circumnavigato il globo arriva nelle Molucche nel 1520. I mercanti di Venezia sono nei loro fonduq ad attendere quelle navi. Conserveranno il monopolio di fatto di quei commerci per più di un centinaio d’anni, per lasciare il posto prima alla flotta portoghese voluta da Enrico il Navigatore e poi agli olandesi che con la loro Compagnia olandese delle Indie Orientali dominano il Seicento. Negli archivi del Porto di Venezia è stato ritrovato un progetto per Suez che risale al 1504: i veneziani volevano battere i portoghesi che portavano a Lisbona le spezie. Ma il progetto non venne mai realizzato. E oggi non ci sarebbe neppure la Borsa come la intendiamo ora senza la Compagnia: nel 1602 infatti avviene il primo scambio di quote (le odierne azioni) di capitale trasferibile. Finanza, speculazione e banchetti. Ma anche tanta poesia come quella del nonno Vassilis che nel film Un tocco di Zenzero racconta al nipote in una soffitta polverosa il mistero delle spezie. Dice che le parole astronomo e gastronomo, in fondo, sono uguali. Fa assaggiare il pepe al bimbo e lui gli dice che è come il sole che illumina tutti i cibi, poi la cannella, che viene paragonata a Venere. È il fascino delle spezie che, come il soffio dei loro aromi, può confondere i piani. Una lezione di gusto e di scienza insieme.
È stato anche un mondo di segreti. Per esempio è soltanto grazie a Jan Huyghen Van Linschoten che gli olandesi scoprono i segreti portoghesi sulle carte nautiche. Vissuto a Goa, colonia di Lisbona, sarà lui con il libro «Itinerario» a svelare le rotte. Era il 1589. Comincia la concorrenza e i monopoli diventano più fragili. La navigazione che il gruppo di lavoro dell’Università di Venezia definisce istmica, dal porto di Aden. Oppure la navigazione a bordo costa con gli istmi di Kra in Malesia, il passaggio stretto tra India e Ceylon. Ci vorranno quasi due secoli perché il francese Pierre Poivre con una spedizione clandestina nel 1769 riesca a trafugare i rizomi della noce moscata e dei chiodi di garofano per poterli trapiantare prima alle Mauritius, poi in Madagascar e Zanzibar. Si incrociano storie e luoghi che oggi sono ancora attraversati da guerre, le stesse destinazioni di allora. Petra era il principale snodo della via dell’incenso, il principale emporio. Il porto di Beirut, Damasco. Il califfo Al-Mansur definiva Baghdad «un porto sul mondo». La prima moglie di Maometto era vedova di un mercante di spezie.
Eppure c’è qualcosa che resta misterioso in quei cumuli a forma di cono che ancora oggi troneggiano nei bazar. Perché valgono così tanto? «Sono stati il modo per innescare molte scoperte geografiche. Un ruolo decisivo lo ha avuto l’Occidente, nell’attribuirgli un valore molto elevato. E in questo modo l’economia come la intendiamo ora si è evoluta», spiega il professor Benno Albrecht. Scambi. Commerci. Ricchezze: «Beni così inutili da essere voluttuari. Puro piacere. Offrire all’ospite la cannella o i chiodi di garofano voleva dire offrirgli un gusto dal valore immenso. Un senso di ricchezza». La rarità, appunto. Un’idea? Nel mondo ci sono 350 mila tonnellate di pepe contro 20 milioni di tonnellate di caffè. Non è un caso che la via delle spezie e il 6450 chilometri della via della seta spesso si incrocino, si sovrappongano a Samarcanda, Trebisonda. Nomi che evocano storie fantastiche, draghi, luoghi misteriosi. «Perché l’uomo desidera così tanto prodotti che sono totalmente inutili?», si chiede Francesco Antinucci, autore del volume Spezie, una storia di scoperte, avidità e lusso (Laterza). E si risponde: «Perché servono a rappresentarlo, a proiettare una certa immagine di se, altamente desiderabile».
L’economia della percezione, così tanto in voga di questi tempi, inizia con il profumo d’incenso. Se è vero che Alarico, re dei Goti, nel 408 tolse l’assedio a Roma in cambio di 30mila libbre d’argento e 3mila libbre di pepe, allora c’è ancora molto da capire su qual è il modo di attribuire il valore delle cose. A Cochin, nel Kerala indiano, c’è stata la principale Borsa del pepe al mondo, spiega Pierpaolo Di Nardo, autore di India del Sud: nella terra degli dei (editore Polaris). «Vasco de Gama ha navigato 27 mila miglia per scendere lungo la costa del Mare Arabo fino alla terra del Malabar», racconta. Pericoli per quello che, in anticipo sul petrolio, era chiamato «oro nero». Se si apre una carta geografica si capisce perché questa città fondata dai portoghesi sul lato sinistro del subcontinente indiano sia diventata uno snodo centrale. E allora torniamo ad Anversa. Nel Seicento, racconta Larry Allen, un esperto analista di nome Christopher Kurz aveva approfondito un sistema astrologico che gli consentiva di conoscere con 15 giorni di anticipo il prezzo che il pepe avrebbe avuto sul mercato. Una specie di insider trading dello zodiaco. Perché c’è anche la magia. Come nel libro di Chitra Bassereu La Maga delle spezie dove a un certo punto si legge: «...zenzero per il coraggio profondo di chi sa quando dire no...». Sono anche uno specchio dello stato d’animo, dunque. Per Pitagora la volatilità dell’odore — si legge nello studio realizzato da Albrecht, Silvia Dalzero, Jacopo Galli e Nicola Pavan per l’Iuav — è dotata di forza di penetrazione e a seconda dell’uso e della formula aveva la proprietà di guarire. Ma anche di portare malattie. In Afghanistan lo zafferano veniva utilizzato anche come colore per i tappeti. Ultimi, solo per ultimi, i numeri. Che dicono di un mercato cresciuto negli ultimi trent’anni del 177 per cento. Non è più tempo di carovane, ma di navi container come quelle che sbarcano nel porto di Livorno. Con la storia di quel John Webb che nel 1793 dirottò i suoi commerci di noce moscata verso il porto franco toscano. Oriente e Occidente, con la confusione di Cristoforo Colombo convinto di andare a Est alla ricerca di oro e spezie. Oggi è l’India il Paese leader al mondo con poco meno della metà dell’intera produzione mondiale, al secondo posto la Cina, con circa il 10 per cento del totale, poi l’Indonesia con le sue Molucche. E l’Olanda, a lungo Paese coloniale in quella parte dell’emisfero, non ebbe un grande intuito se nel 1667 scambiò con gli inglesi una piccola isola produttrice di noce moscata, Run, con il suo insediamento di Nuova Amsterdam, la futura Manhattan. Il soffio delle spezie può incantare. E tradire.