Corriere 11.10.15
«Le crisi? Si può solo tamponarle»
Richard Haass guida il «Council on Foreign Relations». È stato tra le altre cose coordinatore della ricostruzione in Afghanistan
NEW YORK «Non so chi ci sia dietro gli attentati di Ankara, ma è facile prevedere una durissima reazione del governo contro gli oppositori, soprattutto i curdi. Sarà sempre più difficile, per gli Usa, spingere i partner a concentrare gli sforzi contro l’Isis. Il Medio Oriente è in ebollizione e la situazione può solo peggiorare. L’instabilità che si sta diffondendo in Turchia, presto la vedremo anche a Gerusalemme: la rivolta dei palestinesi in Israele è appena cominciata. E non mi stupirei se lo Stato Islamico attaccasse e conquistasse anche l’Arabia Saudita, governata da una monarchia traballante». Dire che il capo del Council on Foreign Relations, Richard Haass, veda nero, è poco. L’esperto diplomatico americano, alla guida del più autorevole centro studi di politica internazionale, giudica da tempo Obama corresponsabile dell’aggravamento della crisi per il suo disimpegno dal Medio Oriente. E oggi, pur giudicando molto pericolosa l’offensiva russa in Siria, non considera necessariamente negativo il ruolo che Putin cerca di giocare nell’area.
Dopo le bombe di Ankara sarà più difficile, per Washington, tenere curdi e turchi impegnati contro il Califfato.
«Certo, ma già prima gli obiettivi di Usa e Turchia non avrebbero potuto essere più distanti: per noi la priorità assoluta è sconfiggere l’Isis. Per i turchi conta di più combattere i curdi ed eliminare il regime di Assad. L’Isis viene dopo, è marginale».
Erdogan si era avvicinato alla Russia, ma ora in Siria il Cremlino attacca anche i ribelli amici di Ankara e i suoi caccia volano sui confini della Turchia. Un tempo si diceva che il nemico del mio nemico è mio amico. Ma questa regola, notava giorni fa un Kissinger nostalgico, non vale più, nel caos attuale.
«Di sicuro non vale in Medio Oriente dove oggi ci sono solo due regole. La prima è quella che lei ha appena citato: il nemico del mio nemico è anche lui mio nemico. L’altra è che la terribile situazione che abbiamo davanti può solo peggiorare: è una previsione fin troppo facile. Non vedo soluzioni all’orizzonte. Al massimo possibilità di tamponare l’emorragia».
Come siamo arrivati a questo punto? Molti accusano Obama, che col suo disimpegno avrebbe creato un vuoto.
«Le cause sono tre. In primo luogo la natura stessa del Medio Oriente: una regione nella quale nessuno è mai riuscito a trovare una ricetta per la stabilità. Popoli e governi incapaci di arrivare a una definizione comune dei concetti di ordine e convivenza. La seconda è la guerra in Iraq che ha destabilizzato ulteriormente tutta la l’area. La terza riguarda il disimpegno dell’Amministrazione Obama che ha accelerato il processo di disintegrazione».
Mosca attacca i ribelli anti-Assad più dell’Isis. Pensa ancora che Russia e Iran possano essere validi interlocutori?
«Non sono alleati, certo, ma un interesse a battere il Califfato ce l’hanno. Dove vuole arrivare Putin lo sa solo lui. Sicuramente vuole dimostrare che la Russia ha un ruolo in Medio Oriente. Questo gli Usa non devono negarlo. E nemmeno possono, a ben vedere. Dipende tutto dal ruolo. Assad deve andarsene, è chiaro, ma non mi auguro una dissoluzione immediata del regime: avremmo ancora più instabilità e, forse, un altro genocidio. Affermato il suo ruolo, la Russia potrebbe anche pilotare una transizione. Insomma, il nostro deve essere un approccio condizionale».
Per tamponare l’emorragia, senza la pretesa di trovare soluzioni.