domenica 11 ottobre 2015

Corriere 11.10.15
Una contesa che si trasforma da territoriale a «messianica»
Le parole Hamas proclama la terza intifada mentre Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, ancora la chiama «ondata di terrorismo»


Hamas proclama da Gaza la terza intifada mentre Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, ancora la chiama «ondata di terrorismo». Perché ammettere che questa rivolta ormai va avanti da oltre un anno ed è diventata guerriglia quotidiana (se non guerra) lo indebolirebbe tra gli elettori che l’hanno votato come Mr Sicurezza. Dall’inizio di ottobre oltre venti palestinesi sono stati uccisi (tra loro sette attentatori) e 4 israeliani. Gli islamisti che dominano la Striscia di Gaza incalzano per dare valori religiosi allo scontro e annunciano di voler liberare la moschea Al Aqsa. Che nella retorica araba delle minacce è diventato il simbolo degli scontri: i musulmani sunniti temono che il governo israeliano voglia cambiare le regole definite dopo il conflitto del 1967 — quando la parte est di Gerusalemme è stata tolta ai giordani — e permettere agli ebrei di pregare sulla Spianata. Netanyahu prova a rassicurare e smentire, accusa i leader palestinesi di incitare all’odio, vieta ai suoi ministri e parlamentari oltranzisti di salire verso quello che per gli ebrei è il Monte del tempio. Il rischio è che il conflitto israelo-palestinese da nazionalista-territoriale si trasformi in messianico, che il fondamentalismo — anche quello dei coloni estremisti israeliani — motivi la lotta tra i due popoli come nei Paesi confinanti, dove lo Stato Islamico sventola le bandiere nere del fanatismo. Abu Mazen è consapevole che Hamas sta cercando di eroderne il potere accusandolo di non saper proteggere quello che per i sunniti è il terzo luogo più sacro. Eppure il presidente palestinese, leader di una fazione laica, invoca la resistenza per difendere le moschee nella Città Vecchia di Gerusalemme. Gli analisti israeliani individuano le cause della rabbia palestinese anche nella mancanza di speranze, nella frustrazione dei giovani: l’economia della Cisgiordania ristagna, i negoziati sono congelati (o meglio ibernati) da aprile di un anno fa, Abu Mazen è considerato debole ed è accusato di essere un dittatore che rinvia le elezioni per la successione.