martedì 8 settembre 2015

Repubblica 8.9.15
Se la mediazione è un castello costruito sulla sabbia
Giorni decisivi nel Pd, la mozione degli affetti non basta a garantire l’unità
Questa volta ci saranno vinti e vincitori
di Stefano Folli


Come spesso accade in politica, le mediazioni si fanno- quando si fanno - nelle ultime ore utili. O almeno si tentano. È probabile che accada così anche per la riforma del Senato, sulla quale finora abbiamo ascoltato appelli, dichiarazioni di principio, moniti, ma niente di davvero concreto: niente, cioè, che vada a fondo sui punti del disaccordo.
La questione, come è noto, è quasi tutta interna al Partito Democratico. Il resto del Parlamento assiste sullo sfondo. C’è chi si è ritagliato un piccolo spazio, come il gruppo di Verdini in soccorso al governo. Chi potrebbe giocare un ruolo imprevisto al momento opportuno, come la Lega. Chi tiene una linea dura non senza parecchi dubbi, come i berlusconiani di Forza Italia. Ma tutti sanno che la vera partita è dentro il Pd e al momento non si è risolta, anzi si è caricata via via di significati complessi. Quel che è vero, intorno alla riforma del sistema bicamerale si gioca buona parte del futuro di Renzi, da un lato, e dei suoi avversari, dall’altro.
Quindi esiste un merito della riforma su cui manca l’intesa istituzionale. Ma c’è un altro livello, tutto politico, che investe direttamente il cosiddetto “partito del premier”: che di fatto è nato, ma non rappresenta l’anima e l’identità di una certa sinistra. In Parlamento questi due mondi sono giunti al vero, drammatico confronto fra loro. Se Renzi vince, la strada per lui sarà spianata: il Pd continuerà a esistere, ma in sostanza sarà a tutti gli effetti il partito del presidente del Consiglio. Abbiamo visto alla festa dell’Unità cosa significa: un rapporto carismatico con la base, il tentativo di dimostrare che i militanti amano il leader, saltando i filtri e consegnando all’irrilevanza buona parte dei quadri e del ceto politico.
Viceversa, se il presidente del Consiglio inciampa nella riforma, rischia di venir giù l’intero castello del “renzismo” e la storia del paese prenderà un’altra strada. È lo stesso Renzi a legare in modo implicito il suo avvenire alla trasformazione del Senato, intesa come messaggio anti-casta e sforzo di recuperare il sentimento anti-politico. Ecco allora cosa rende così difficile la mediazione: il fatto che nessuna delle due parti in campo si accontenta.
Il premier che punta tutto su se stesso non vuole apparire come l’uomo del compromesso al ribasso. E infatti ha tracciato una riga nella sabbia: non si torna all’elezione diretta dei nuovi senatori; non si mette mano all’articolo 2; non si allungano i tempi parlamentari perché diventa troppo alto il rischio di dover ritoccare anche l’Italicum, la legge elettorale a cui Renzi tiene oltre misura in quanto strumento- principe per forgiare i nuovi assetti della politica. Per ragioni uguali e contrarie, nemmeno il fronte dei dissidenti (25-30 senatori sulla carta) può accettare accordi mediocri. Sarebbe la fine di qualsiasi prospettiva per l’area, diciamo così, socialdemocratica. Del resto, nel “partito di Renzi” nessuno degli attuali contestatori troverebbe spazio; quindi per loro è una battaglia obbligata. Si vedrà nelle prossime ore se un’intesa si delinea.
Sul piano tecnico una soluzione si può trovare sulle modalità di elezione, ma le ipotesi fin qui circolate sono rigettate dalla minoranza. E si capisce. Ciò che davvero vogliono Bersani e i suoi amici è essere associati nella gestione di un partito dal profilo, appunto, socialdemocratico. Ma in quel caso non esisterebbe più il “partito di Renzi” e quindi è logico che il presidente del Consiglio finga di non capire. Almeno quando può farlo senza
perdere la partita. Allora si discute, ma fin
qui non si media. E le pressioni, molto forti, sono volte a erodere il fronte dei ribelli: a riportarne a casa qualcuno, a convincerne altri all’ultimo minuto.
Il richiamo all’unità, l’immagine del treno in marcia (il governo, la ripresa economica) che nessuno ormai può fermare, può solo salirci sopra. Gli argomenti sono tanti e Renzi, come è noto, è un abile comunicatore. Ma anche gli altri giocano una mano decisiva che non riguarda solo il destino dei singoli. Stavolta ci saranno vincitori e vinti.