martedì 8 settembre 2015

Corriere 8.9.15
Una trattativa partita tardi che complica il compromesso
di Massimo Franco


M atteo Renzi è sicuro che entro il 15 ottobre la riforma del Senato sarà approvata. E «una soluzione si trova», assicura. Ritiene di avere dietro gran parte non solo del Pd ma del Paese; e di poter spendere questo consenso per piegare resistenze tuttora diffuse e, almeno in apparenza, irriducibili. Eppure, non è ancora chiaro se il compromesso che il premier ritiene inevitabile sia stato tentato. La mediazione con la minoranza del Pd è qualcosa di ancora inafferrabile. La stessa disponibilità attribuita ad alcuni esponenti Dem non è così scontata. «Non vado alla ricerca di accordi a tutti i costi», avverte il capo del governo. «Se qualcuno vuole fare l’anti-Renzi e vince, auguri».
Il risultato è che alla riunione di stasera con i senatori del proprio partito, il presidente del Consiglio arriva tra segnali contraddittori. Il suo punto di partenza è che non si può tornare indietro: la riforma deve tenere ferma l’elezione indiretta dei rappresentanti di Palazzo Madama. Dunque, nessun ritocco all’articolo 2, né concessioni ad una filiera parlamentare che va da pezzi del Pd a FI, a singoli parlamentari, decisa invece a imporre un Senato legittimato dal voto degli elettori. La presenza di oltre mezzo milione di emendamenti dovrebbe servire a intimidire Palazzo Chigi, mostrando un percorso accidentato e lungo.
Per paradosso, un’inflazione di modifiche che sanno di ostruzionismo può essere schivata e aggirata attraverso una serie di accordi e accorgimenti. E comunque, sarebbe difficile spiegare all’opinione pubblica una dissociazione plateale dal proprio partito, senza trarne le conseguenze con una scissione. È su questo che Renzi confida per concedere il meno possibile e ottenere il massimo. La convinzione è che la genericità delle sue parole nasconda la volontà di procedere facendo valere il principio di maggioranza; e mettendo gli avversari di fronte alle loro responsabilità.
Ma quando l’ex capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, fa capire che «spetta al segretario trovare l’unità del partito», cerca di scaricare su Renzi l’eventualità di una rottura. Si capirà meglio stasera. Il problema, tuttavia, è che difficilmente basteranno uno o due scrutini per ottenere il «sì» definitivo alla riforma. E se le votazioni andranno avanti per giorni, anche l’ipotesi, da non escludersi, di un accordo segreto tra premier e Silvio Berlusconi, potrebbe rivelarsi più complicato del previsto.
L’anello debole non è solo la tenuta del Pd, ma dei gruppi parlamentari in generale, divisi tra paura delle elezioni anticipate, e di una mutazione del Senato che comunque rappresenta un trauma. La presidente della Commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro, suggerisce di cercare un’intesa «fino all’ultimo». Sembra un consiglio più che ragionevole. Forse, però, è anche la conferma di una trattativa partita tardi, e dunque irta di difficoltà: tanto da non prevedere un pareggio.