martedì 8 settembre 2015

Corriere 8.9.15
Grasso apre alle correzioni «Ci sono strumenti contro l’ostruzionismo»
Il presidente e le modifiche sull’elezioni diretta
di Monica Guerzoni


ROMA «Alla politica spetta trovare le soluzioni per venir fuori da questo cul de sac». Il primo a tifare per un accordo «vero e solido» dentro al Pd è il presidente del Senato. Stretto da mesi negli scomodi panni dell’arbitro, dal cui fischietto dipendono le sorti dell’incontro chiave della stagione, Pietro Grasso non vede l’ora di liberarsi dalla morsa. Per questo, raccontano ai piani alti di Palazzo Madama, la seconda carica dello Stato guarda «con una punta di ottimismo» a stasera, quando Renzi cercherà l’intesa con i suoi senatori.
Se il premier e segretario del Pd farà il miracolo, la ridda di interpretazioni non autorizzate finirà e Grasso potrà tirare un sospiro di sollievo, dopo settimane in cui le «voci di Palazzo Madama» gli hanno attribuito posizioni nelle quali stenta a riconoscersi. Nei suoi ragionamenti l’ex magistrato non fa nomi, ma il pressing dei renziani più scalmanati deve averlo infastidito non poco tra virgolettati anonimi, minacce più o meno velate e l’accusa — trapelata ancora ieri — che il presidente si appresterebbe a prendere decisioni senza precedenti, che qualcuno nel giro ristretto del premier avrebbe paragonato a un «golpe».
La verità, va ripetendo il diretto interessato, è che Grasso non ha deciso il destino dell’articolo 2, il passaggio della riforma costituzionale che fa litigare il Pd. Quando si è scritto che il presidente era pronto ad ammettere l’emendabilità dell’intero articolo del ddl Boschi, che contiene le norme sulla non elettività dei senatori, Palazzo Madama ha smentito. E adesso che nel governo c’è chi descrive Grasso intento a rassicurare Palazzo Chigi e pronto a emendare solo il comma 5 — dove alla Camera un «nei» è diventato «dai» — il presidente spazza via supposizioni, anticipazioni e fughe in avanti: «Non ho niente di nuovo da aggiungere. Ho ripetuto a chiunque che, finché non vedrò gli emendamenti presentati per l’Aula, non quelli per la commissione Affari costituzionali, non mi potrò pronunciare».
Dopo aver passato settimane a rileggere la Costituzione e il regolamento del Senato e a studiare prassi e precedenti, Grasso ribadisce: «Le mie scelte saranno solo tecniche. Alla politica spetta trovare le soluzioni per venire fuori da questo cul de sac». L’inquilino di Palazzo Madama vuole una riforma che «duri per decenni» e per questo non si stanca di rinnovare l’appello al leader del Pd e alla minoranza del suo partito, perché stringano un accordo sulle «dovute correzioni» al testo. Solo così, è il suo monito, il governo potrà affrontare senza rischi la navigazione in aula.
«Una volta blindato un vero accordo tra le parti e messi in salvo i numeri che garantiscano una maggioranza ampia e solida — tranquillizza il presidente — votare un emendamento, cento, mille o un milione non cambia nulla. Anche perché in Senato ci sono ottimi strumenti contro l’ostruzionismo». Questo passaggio dei ragionamenti di Grasso sarà letto con la lente di ingrandimento da chi ha fretta di capire quale orientamento il presidente stia maturando. Davvero vuole ammettere gli emendamenti all’intero articolo 2? Per questo, pur senza nominarlo, evoca lo strumento parlamentare del «canguro» con cui, lo scorso anno, fu stoppata l’ondata ostruzionistica? Grasso non lo dice. E prova a placare le ansie del governo, lasciando intendere che se pure decidesse di aprire alle modifiche sull’elettività dei senatori — come la gran parte dei costituzionalisti suggerisce — non è vero che la tela di Penelope verrà irreparabilmente disfatta.
In commissione sono stati ascoltati oltre trenta costituzionalisti, i cui interventi sono consultabili sul sito del Senato. Sei di loro hanno chiuso all’emendabilità dell’articolo della discordia, mentre una ventina hanno detto che il cuore della riforma si può (o si deve) rivedere. Ma guai a dedurne che Grasso sia dello stesso avviso... Perché di una cosa si è convinto in queste giornate di ansia e cioè che, se lasciasse trapelare i suoi convincimenti, aiuterebbe una squadra ostacolando l’altra. Col rischio che l’accordo politico, nel quale molto confida, vada in pezzi ancor prima di essere siglato .