lunedì 7 settembre 2015

Repubblica 7.9.15
Quando oracoli e prodigi cambiavano la politica nella Roma di Giulio Cesare
Ai responsi della Sibilla Cumana si ricorreva in occasione di calamità o in situazioni gravi in cui versava la res publica
di Maurizio Bettini


L’intervento è parte di quello che Bettini terrà alla II edizione del Festival ideato e diretto da Rosangela Bonsignorio e Danco Singer, in programma dal 10 al 13 a Camogli. In chiusura la lectio di Umberto Eco

Così, nell’antichità, la divinazione pubblica influenzava le scelte strategiche dei leader e le cospirazioni di Stato Come accadde alla vigilia delle Idi di marzo del 44 a.C.
ARoma la divinazione aveva soprattutto un ruolo pubblico. Essa faceva parte delle istituzioni dello stato e come tale era amministrata da “ collegi” di carattere ufficiale, formati da persone esperte del sapere divinatorio, che come tali venivano interpellate sulla materia di loro competenza. Dato che la divinazione pubblica romana poteva avere un’influenza così determinante sulla vita politica, non stupisce vedere che le sue stesse pratiche erano a loro volta soggette a procedure di carattere altrettanto politico. Ammettiamo per esempio che a Lanuvio fossero piovute delle pietre, o che a Gabi una statua di Marte si fosse messa improvvisamente a sudare. Come ci si comportava a Roma di fronte a questo prodigio? Forse che popolo e senatori venivano presi dal panico, e gli aruspici decretavano immediatamente lo svolgimento di sacrifici espiatori?
Niente affatto, la società romana non era una società teocratica, ma democratica, almeno nel senso che le decisioni importanti venivano sempre prese in seguito alle deliberazioni di un organo competente. Questo valeva anche per i prodigi. Prima di tutto il prodigio doveva essere “comunicato” ai consoli; a questo punto i consoli, dopo aver raccolto tutte le informazioni e le testimonianze relative all’evento, all’inizio dell’anno dovevano riferire al Senato su questa materia. Il senato, dopo accurata discussione, aveva il diritto di accettare o meno il prodigio, e solo a questo punto si dava mandato agli specialisti di spiegare cosa mai non andasse con Marte, visto che sudava tanto, e di procedere alla necessaria espiazione. Come si vede, i prodigi venivano esaminati e posti in discussione proprio come se si fosse trattato di una proposta di alleanza o del resoconto di un’ambasceria.
La stessa cosa che avveniva quando si decideva di procedere alla consultazione dei Libri Sibyllini , un testo venerabile, composto da oracoli attribuiti (nientemeno) alla Sibylla Cumana, al quale si ricorreva in occasione di pubbliche calamità, prodigi o comunque allorché la res publica versasse in situazioni di particolare gravità. La consultazione si svolgeva infatti in questo modo: un gruppo di specialisti si recava in Campidoglio, dove erano custoditi questi libri, e li consultava, scegliendo l’oracolo che meglio pareva riferibile alla situazione da affrontare; dato però che questi oracoli erano composti in uno stile decisamente arcano, era soprattutto necessario fornirne un “interpretazione” che spianasse la strada alle procedure da intraprendere.
A questo punto, però, non accadeva quello che ci si potrebbe attendere, ossia che i sacerdoti / magistrati di Roma dessero il via alle pratiche ritenute necessarie: al contrario, l’interpretazione degli specialisti era portata in senato – e su di essa si votava. Nel 44 a. C. si procedette ad interrogare i Libri in vista di una spedizione militare di enorme importanza, che sarebbe stata inviata a combattere contro i Parti. Interrogati da un sacerdote che era, guarda caso, lo zio materno di Cesare, gli oracula dettero questa indicazione: la guerra contro i Parti sarà vinta solo da un re. Manco a dirlo il comandante designato alla guida della spedizione era Giulio Cesare, dunque era chiara la manovra: si voleva che, contrariamente ad ogni tradizione repubblicana, Cesare fosse dichiarato re. Cosa ancora peggiore, però, era chiaro che i Cesariani avevano ormai la maggioranza in Senato… Per cui i congiurati decisero di assassinare l’aspirante monarca.