sabato 5 settembre 2015

Repubblica 5.9.15
Dal Sudamerica agli Stati Uniti dalla Francia all’Italia il libro-reportage di Jorge Carrión nei luoghi in cui non si è perso il senso della lettura
Il mio viaggio nelle librerie dove il mondo si rappresenta
di Jorge Carriòn


Ogni libreria riassume in sé il mondo intero. Non è una rotta ma un corridoio aereo che, snodandosi tra ripiani e scaffali, collega il luogo in cui viviamo e le sue lingue con regioni sconfinate dove si parlano altri idiomi. Non è una dogana internazionale ma un valico — un semplice valico di frontiera — che dobbiamo attraversare per cambiare topografia e di conseguenza anche toponomastica ed epoca. Per accedere all’ordine cartografico di qualsiasi libreria, a questa rappresentazione del mondo — di tutti i diversi mondi che chiamiamo mondo — così simile a una carta geografica, a questo territorio libero in cui il tempo rallenta e il turismo diventa
un’altra forma di lettura, non serve passaporto. Eppure, visitando la Green Apple Books di San Francisco, la Ballena Blanca di Mérida in Venezuela, la Robinson Crusoe di Istanbul, la Lupa di Montevideo, L’Écume des Pages di Parigi, la Book Lounge di Città del Capo, l’Eterna Cadencia di Buenos Aires, la Rafael Alberti di Madrid, la Casa Tomada di Bogotá, la Metales Pesados di Santiago del Cile, la Dante & Descartes di Napoli o la Literanta di Palma di Maiorca, ogni volta ho avuto come l’impressione che mi venisse apposto una specie di timbro su un documento, di accumulare visti che certificavano le mie tappe lungo la rotta internazionale delle librerie più importanti o significative, di quelle migliori, più antiche, interessanti o semplicemente più accessibili.
Il mio primo timbro è stato quello della Librería del Pensativo di Città del Guatemala. Ero arrivato verso la fine del mese di luglio del 1998 e il paese era ancora sconvolto dalla morte del vescovo Gerardi. Era stato brutalmente assassinato due giorni dopo aver presentato, in qualità di rappresentante dell’Ufficio per i diritti umani dell’arcivescovado, i quattro volumi del rapporto Guatemala: nunca más, in cui erano documentate circa 54.000 violazioni di diritti fondamentali avvenute nel corso dei trentasei anni della dittatura militare. In quei mesi dominati dall’incertezza, durante i quali cambiai quattro o cinque volte domicilio, il centro culturale La Cúpula — che comprendeva il caffè/ galleria Los Girasoles, la libreria e altri negozi — fu per me quanto di più simile ci fosse a una casa.
Il giorno in cui finalmente mi sono deciso a disporre sulla scrivania tutti questi timbri, quello che ho visto non era tanto un passaporto quanto un mappamondo. Tuttavia, essa rappresentava il possibile status quaestionis di una realtà al tramonto, in trasformazione. Giacché in ogni parte del mondo librerie come il Pensativo o non esistono più o stanno scomparendo oppure sono diventate un’attrazione turistica e hanno aperto un proprio sito Internet o sono state assorbite da una catena le cui succursali portano tutte il medesimo nome. Spesso non compaiono nemmeno nelle guide turistiche né divengono oggetto di tesi di dottorato finché il tempo non ha la meglio su di loro, trasformandole in miti. Miti come quello di rue de l’Odéon a Parigi, alimentato dalla Shakespeare and Company di Sylvia Beach, e di Charing Cross Road, la strada intergalattica, via bibliofila di Londra per eccellenza, immortalata nel titolo del miglior romanzo che io abbia letto sulle librerie: 84, Charing Cross Road di Helene Hanff; o come la libreria già dei Marini, in seguito Casella, fondata a Napoli nel 1825 da Gennaro Casella e passata in eredità a suo figlio Francesco, nel cui locale tra Ottocento e Novecento s’incontravano personalità come Filippo T. Marinetti, Eduardo De Filippo, Paul Valéry, Luigi Einaudi, G. Bernard Shaw e Anatole France (che, pur alloggiando all’Hôtel Hassler al Chiatamone, la usava come fosse il salotto di casa sua); o, ancora, come la Libreria degli scrittori di Mosca che, tra la fine degli anni Dieci e gli inizi degli anni Venti del Novecento, approfittò della breve parentesi di libertà rivoluzionaria per offrire ai lettori un centro culturale animato da intellettuali.
Catalogando tutti quei biglietti da visita, foglietti volanti, dépliant, cartoline, cataloghi, istantanee, appunti e fotocopie, mi sono imbattuto in numerose librerie che si sottraevano a qualsiasi raggruppamento cronologico o geografico. Erano quelle specializzate in narrativa e libri di viaggio, in sé stesse un paradosso, poiché tutte le librerie sono un invito al viaggio e, anzi, sono dei viaggi in sé. Seguendo l’itinerario proposto dalla Altaïr (a Barcellona, ndr), superata la vetrina ci si imbatte in primo luogo in una bacheca dove sono affissi annunci di viaggiatori, oltre la quale sono esposti gli ultimi numeri della rivista omonima. La Ulyssus, a Girona, ha per sottotitolo «Libreria di viaggi» e, proprio come Albert Padrol e Josep Bernadas, i fondatori della Altaïr, anche il suo proprietario Josep Maria Iglésias si considera un viaggiatore prima ancora che libra- io o editore. Non è un caso che al timone della parigina Ulysses vi sia Catherine Domain, esploratrice e scrittrice, che ogni estate costringe la propria attività a trasferirsi con lei al casinò di Hendaye. Per estensione simbolica, librerie di questo tipo traboccano in genere di carte geografiche e mappamondi: nella Pied à Terre di Amsterdam, per esempio, i globi terracquei che osservano di sottecchi il visitatore intento alla ricerca di guide e altre letture si contano a decine. La madrilena Deviaje dà invece maggior risalto alla propria natura di agenzia: «Viaggi su misura, libreria, complementi di viaggio».