venerdì 4 settembre 2015

Repubblica 4.9.15
Carta segreta del premier per il Senato la soluzione martedì al vertice pd
Il premier Matteo Renzi lavora a una soluzione per superare lo stallo interno al Pd sul Senato elettivo
di Francesco Bei


ROMA L’ultima offerta «prendere o lasciare » Matteo Renzi la svelerà martedì, il giorno della riunione della commissione affari costituzionali del Senato. Come spesso gli capita, anche sulle riforme costituzionali sta giocando da pokerista, con una carta coperta da buttare all’ultimo sul tavolo dopo aver alzato per tutta l’estate un muro di no. Anche sulla Buona Scuola andò così, rigidità assoluta finché non incaricò Matteo Orfini di incontrare i sindacati. Le modifiche al ddl arrivarono: i presidi contarono un po’ di meno, alcune categorie di precari - prima esclusi - rientrarono nel piano assunzioni. Una tattica che ora il premier intende replicare sul ddl Boschi.
Domenica invece, al comizio di chiusura della Festa de l’Unità a Milano, non ci saranno riferimenti specifici. Renzi sta preparando il suo discorso, ma volerà altissimo, sui temi europei, la crescita, le tasse, il lavoro. Sarà invece l’assemblea del gruppo dem a palazzo Madama la location del discorso rivolto all’opposizione interna. «Farò un’apertura sui contenuti - ha confidato il capo del governo a un amico - ma chiederò in cambio lealtà di comportamenti. E soprattutto la garanzia che la riforma possa essere approvata nei tempi previsti, cioé prima dell’avvio della sessione di bilancio a metà ottobre».
Che qualcosa del resto stia cambiando è una senzazione comune tra i belligeranti di entrambi i fronti. E lo stesso Pier Luigi Bersani ieri è stato attento a usare toni e parole molto diversi da quelle di Massimo D’Alema. Tanto da arrivare a dire che sulla riforma Boschi «la soluzione si trova». Una apertura apprezzata dai renziani. A palazzo Madama il capogruppo Luigi Zanda ha già azionato gli estintori. Parlare di una mediazione in corso è sbagliato, ma l’atmosfera non è più quella dei diktat e dei veti. Un piccolo segnale di disgelo è stato anche il colloquio dietro il palco della festa di Milano tra lo stesso Bersani e il vicesegretario Lorenzo Guerini.
Il capogruppo al Senato Zanda sparge incenso: «Sono convinto che tutti nel Pd abbiano a cuore un esito positivo del percorso riformatore». Vannino Chiti, uno dei più te- stardi oppositori del ddl, risponde ecumenico: «È un desiderio condiviso». Quei 17 emendamenti presentati dai 28 senatori dem ora vengono definiti da Chiti «una base su cui si possono costruire sintesi e intese ».
Anche se il suo jolly Renzi se lo tiene stretto, tutta la questione gira sempre sull’articolo 2 della riforma, quello che disciplina il modo di elezione dei senatori. Chiuso il discorso sull’elezione diretta e popolare, che il premier considera una sconfessione dell’intero modello e un possibile varco per il ritorno al bicameralismo paritario, tutte le altre ipotesi sono sul tavolo. E una mano indiretta al premier potrebbe venire dai presidenti di regione, che saranno ascoltati in prima commissione alla riapertura dei lavori. I governatori di centrosinistra, molti dei quali non renziani, chiederanno infatti maggiori margini di autonomia per le regioni e spingeranno per la soluzione del listino regionale o per lasciare ai singoli consigli regionali la possibilità di scegliere il sistema che preferiscono. Sarebbe un formidabile strumento di pressione nei confronti della minoranza dem per indurla ad accettare un compromesso sull’elettività indiretta dei senatori.
Intanto, sotto un’altra angolazione, si sta lavorando a come risolvere il problema dei 500 mila emendamenti di Calderoli. La soluzione più facile sarebbe quella di mandare il testo in aula senza relatore, ma in una fase così delicata fare a meno delle capacità di persuasione di Anna Finocchiaro (stimata sia dalle opposizioni che dalla minoranza) al momento è considerato un rischio ancora maggiore. Tanto più che sull’articolo 2 gli emendamenti sono “solo” 2800.