giovedì 3 settembre 2015

Repubblica 3.9.15
Agnès Heller
“L’Europa dell’Est ostaggio del bisogno di odio”
Qui in molti casi non è stata una conquista propria ma un regalo
Dai rom agli stranieri: contro di loro sono risorti istinti secolari
“Mentre la Germania è cambiata, in molti paesi di questa area i fantasmi della storia non sono mai andati via. E se continua così, tanti rischiano di non poter essere salvati”
intervista di A. T.


Agnes Heller, 87 anni, filosofa ungherese, è sopravvissuta all’Olocausto. È la teorica dei “bisogni radicali”

«NUMERI sulle braccia di adulti e anziani, donne e bambini? È orribile, risveglia i ricordi più atroci, e non solo in me sopravvissuta alla Shoah. L’Europa centro-orientale, con l’eccezione polacca, non si è mai liberata dal suo bisogno di odio, di esclusione del diverso, di ostilità razzista contro i diversi percepiti come nemici necessari. L’altro ieri gli ebrei, ieri i Rom, oggi i migranti. È una ferita profonda nel mio cuore». Ecco il giudizio durissimo di Agnès Heller, la grande filosofa, madre storica del dissenso dell’Est che nell’Ungheria di Orbàn è rimasto dissenso.
I profughi marchiati sul braccio dalla polizia cèca, che sensazioni le suscitano?
«È un gesto orribile: marchiare chi vuoi escludere per riconoscerlo, e con un numero che si riferisce al treno su cui devo viaggiare. Via, davvero ho bisogno di essere più esplicita per chiamare per nome le Memorie che ciò evoca?».
Tutto questo nella Repubblica cèca, paese civile, avanzato, parziale erede dell’ex Cecoslovacchia democratica... «Purtroppo non significa molto che un paese sia civile, colto, avanzato. La Germania era coltissima, avanzata, civile e con una cultura tra le più vivaci del mondo quando poi nel ’33 Hitler vinse le elezioni. La Germania, dalla catarsi della disfatta, del Sessantotto e oggi di Angela Merkel coi suoi discorsi antirazzisti, è cambiata. Ma qui da noi nella nuova Europa i fantasmi dell’orrore e dell’odio razziale non sono tornati: si sono semplicemente risvegliati, non erano mai andati via. E certo sullo sfondo c’è la propaganda del governo Orbàn in Ungheria, e la tragedia che egli infligge ai migranti ammassati qui, bloccati con stazioni chiuse sulla via di Berlino pronta ad accoglierla. Mi lasci raccontarti due episodi rivelatori».
Quali?
«Primo, le parole pronunciate l’altro ieri dal capogruppo parlamentare del partito di Orbàn: “Non abbiamo alcun bisogno di questa gente, siamo noi la nazione”. Se l’America avesse ragionato così non sarebbe mai divenuta la prima potenza mondiale. Secondo, l’altro giorno ero a Praga per una conferenza, e in taxi…».
Cosa l’ha colpita?
«Le parole del tassista. Mi ha detto di averne abbastanza dei migranti, che arrivino o che siano di passaggio, “perché se non li fermiamo finiremo per trovarci in un califfato dell’Europa centrale”. Ho provato a spiegargli con termini chiari quanto fosse insensata la sua frase, ma è rimasto della sua opinione. Vede, si comincia dagli incubi deliranti d’un tassista e si finisce con la polizia d’uno Stato di diritto che registra i migranti con numeri sul braccio».
Oggi tornano i fantasmi del passato?
«Penso agli anni ‘30 e ‘40, a quando almeno tre dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah avrebbero potuto essere salvati se il mondo non avesse sbattuto loro in faccia la porta di frontiere chiuse. E mi chiedo, se qui continuerà così, quanti migranti col numero sul braccio in Cèchia o respinti a Budapest dai treni per Berlino pur avendo pagato il biglietto, non potranno essere salvati?».
Cosa ti aspetti per il futuro?
«Vorrei non temere il peggio. Merkel parla chiaro. Spiega anche, rischiando di perdere elettori, che un’Europa che quasi non fa più figli, senza i migranti non avrà più nessuno per pagare contributi di pensioni welfare e sanità. Ma a parte lei, sono politici professionali quasi solo quelli che come Orbàn e altri — all’est ma non solo — scelgono di cavalcare la tigre del risorto bisogno di odio, esclusione, emarginazione e persecuzione verso l’altro, il diverso. Quelli che come lui e altri gridano in manifesti elettorali “volete nutrire i migranti o i vostri figli?”».
Eppure proprio i cèchi avevano in Vaclav Havel un eroe al vertice dell’etica...
«Vaclav era un grande intellettuale europeo, ma non seppe farsi ascoltare. Lo hanno dimenticato. Così come oggi cèchi e molti altri esteuropei non hanno ancora fatto i conti con il modo criminale, brutale, con cui dopo il ’45 espulsero milioni di tedeschi. Insisto, manca all’Est e in molte parti altrove la memoria della catarsi, della resa dei conti con le proprie colpe. L’Ungheria, complice dell’Olocausto senza ammetterlo, oggi punisce col diritto penale i cittadini che ospitano migranti. In Cèchia, Slovacchia, Bulgaria, i Rom vengono emarginati con Muri o abbattendo le loro case con ruspe. A parte la Polonia grazie a Solidarnosc, a parte la Germania che ha assimilato i valori costitutivi postbellici, la democrazia da molte parti in Europa è giunta come regalo di eserciti liberatori, non come conquista interna. E se non assimili il regalo ma torni ai secolari istinti d’odio dei nazionalismi, come con quei numeri sulle braccia, prima o poi la Storia ti presenta il conto».