Il Sole 3.9.15
«Permessi di soggiorno troppo costosi»
La Corte Ue condanna l’Italia: eccessivo il contributo tra 80 e 200 euro, scoraggia l’integrazione
di Beda Romano
ROMA In un momento in cui le questioni migratorie stanno mettendo a dura prova i rapporti tra i paesi europei e creando gravi tensioni sociali in molti stati, le istituzioni comunitarie sono tornate ieri a criticare l’Italia su questo fronte. In una sentenza, la Corte europea di Giustizia ha stabilito che il governo italiano viola le regole europee, imponendo ai cittadini di paesi terzi un contributo pecuniario troppo elevato al momento dell’emissione di un titolo di soggiorno.
Nella sua decisione, il tribunale fa notare che un decreto del 2011 stabilisce che il rinnovo o il rilascio del permesso di soggiorno a un cittadino di un paese terzo è soggetto a un «contributo» di un minimo di 80 euro e di un massimo di 200 euro. La magistratura comunitaria non critica la scelta di imporre una qualche forma di pagamento, ma sottolinea che l’ammontare è molto elevato, tanto più che l’emissione di un carta d’identità costa a un cittadino italiano appena 10 euro.
«L’onere economico imposto al cittadino dello Stato terzo per ottenere il rilascio del titolo è circa otto volte più elevato», si legge in un comunicato, tenuto conto del contributo minimo di 80 euro. La decisione si basa su una direttiva comunitaria del 2003 e su una sentenza del 2012. In quest’ultima, la Corte aveva preso posizione contro l’Olanda il cui governo aveva imposto contributi sporporzionati ai cittadini di paesi terzi per concedere loro il titolo di soggiorno.
Il tribunale ricorda che l’obiettivo principale della direttiva del 2003, relativa allo status nell’Unione dei cittadini di paesi terzi che soggiornano per un lungo periodo in Europa, è di facilitare l’integrazione delle persone. La Corte ammette che i governi hanno margini di discrezionalità nel decidere il contributo per l’emissione del titolo di soggiorno, ma sostiene che un contributo troppo elevato è discriminatorio e potrebbe compromettere l’obiettivo dell’integrazione.
La sentenza, che giunge dopo un ricorso alla magistratura italiana da parte della Cgil e dell’Inca, l’istituto nazionale confederale di assistenza, non è l’unica occasione recente in cui le autorità comunitarie hanno preso di mira la politica migratoria italiana. La Commissione ha inviato venerdì a Roma una lettera in cui ha fatto notare che l’Italia sta violando le regole europee perché nei primi sette mesi dell’anno non ha raccolto le impronte digitali di tutti gli immigrati che clandestinamente sono entrati in Italia.
La presa di posizione della Corte giunge in un contesto difficile. Da settimane ormai, i confini orientali dell’Unione sono attraversati quotidianamente da migranti alla ricerca di asilo nei Ventotto. Le tensioni alle frontiere stanno provocando contrasti tra i paesi e mettendo a nudo le carenze della politica europea in questo ambito. Alcuni governi chiedono l’adozione di un sistema vincolante di redistribuzione dei richiedenti l’asilo, ma molti governi sono contrari (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
La Commissione ha confermato ieri che entro breve intende presentare un progetto di legge che in casi di emergenza renda vincolante e permanente la redistribuzione nei Ventotto di rifugiati arrivati nell’Unione. Allo studio è una chiave di ricollocamento che possa essere accettabile per tutti. L’esecutivo comunitario, come ha spiegato ieri la portavoce Natasha Bertaud, deve anche decidere quale sarà il fattore che farà scattare la redistribuzione delle persone, un aspetto politicamente non banale.