martedì 29 settembre 2015

Repubblica 29.9.15
Quei segnali del Pianeta Rosso che da millenni affascina noi terrestri
di Vittorio Zucconi


WASHINGTON. “Acqua!” grida la Nasa assetata di rivelazioni che scuotano l’indifferenza di governi e contribuenti per l’esplorazione dello spazio. Scoperta acqua su Marte. E il sogno marziano ricomincia.
Fedele compagno di miti e di paure nel nostro viaggio nell’Universo, Marte rivela a piccole puntate il romanzo di un corpo celeste che da almeno quattromila anni affascina noi terrestri e ci concede oggi un altro capitolo: le presenza di acqua, anche se salata ma filtrabile, renderebbe un poco meno improbabile la sopravvivenza di colonie umane e più leggero il carico degli elementi portati da casa e necessari per resistere.
Nessun altro pianeta, dagli astronomi egiziani agli ultimi rivelamenti trasmessi da Curiosity, ha prodotto, anche grazie alla sua relativa vicinanza a noi, la speranza di una futura colonia per accogliere i profughi della Terra esausta e la paura di poter essere noi l’oggetto di invasioni e conquiste venute dallo spazio. Per secoli ormai, e per milioni di persone, “marziano”’ è stato il sinonimo dell’alieno sbarcato con pessime intenzioni e strumenti infernali di distruzione e di dominio. Nella realtà, l’invasione non da Marte — come annunciata alla radio dal famoso programma di Orson Welles nel 1938 — ma “di” Marte è cominciata e gli invasori siamo noi, i Terrestri, che dal 1960, appena tre anni dopo il lancio dello Sputik sovietico con la fallita missione di Marsnik 1, tentiamo di spedire sonde e robot per esplorare e frugare la superfice del pianeta rossiccio. Il numero di satelliti artificiali, robot, sonde sparate dalla Terra per scoprire i segreti di Marte si misura ormai a dozzine e con le bandiere di americani, russi, indiani, cinesi, giapponesi, europei a costi che sorpassano i miliardi di dollari.
Qualsiasi nazione che disponga di razzi capaci di superare la gravità terrestre e lanciarsi lungo i 225 milioni di chilometri che sono la distanza media tra noi e i “marziani”, ci ha provato e ci proverà. Fino all’impresa finale, sempre annunciata e sempre rinviata, del primo viaggio umano, forse attorno al 2030.
Era dunque inevitabile che la “Quarta Roccia dal Sole”, Marte, il pianeta più facilmente visibile dalla Terra prima a occhio nudo e poi attraverso il cannocchiale del primo che lo osservò ingrandito, Galileo Galilei, diventasse una sorgente inesauribile di miti e fosse capace, dal paganesimo delle divinità “false e bugiarde” come Ares, il Dio della Guerra, alle nuove religioni dei social network convertisse generazioni di umani.
Anche in questi giorni, mentre la Nasa graffia con le ultime scoperte del robot Curiosity la superfice di Marte e trova acqua, le sale cinematografiche raccontano l’avventura del “marziano” accidentale, di Matt Damon, dimenticato e dato per morto dai suoi compagni.
Nell’attesa, probabilmente lunga e ancora fisicamente impossibile di superare la barriera invalicabile della velocità della luce, Marte resta il solo traguardo umanamente raggiungibile dagli uomini e dalle donne che si stanno preparando a un viaggio di 260 giorni, quanti sarebbero necessari per coprire la distanza minima tra le orbite attorno al sole di Marte e della Terra, una volta ogni 18 mesi. Studi ed esperimenti sono in atto anche per capire come psicologicamente, e fisicamente, i futuri “Marziani” potrebbero reggere quasi nove mesi di convivenza — che divengono il doppio fra andata e ritorno — nello spazio claustrofogico di una navicella, quali relazioni, gelosie, amori potrebbero intrecciarsi fra di loro, essendo, prima che esploratori spaziali, giovani uomini e giovani donne.
Nel tempo necessario per raggiungere Marte e per tornare sulla Terra, almeno 18 mesi, bambini potrebbero facilmente essere concepiti e nascere, magari sulla superfice del Pianeta, diventano così i primi, veri Marziani del futuro e aggiungere anche il primo neonato alla biblioteca di miti creati attorno a un corpo celeste arrossato dall’ossidazione del metallo sulla sua crosta. Un’ipotesi fantascientifica, ma non più delle infinite teorie e leggende che la fantasia romanzesca ha generato attorno alla “Quarta Roccia dal Sole”. Furono necessarie le prime foto prese dalle sonde orbitanti russe e americane per demolire la teorie dei “canali”, avanzata erroneamente dall’italiano Schiaparelli, comunque immortalato da un cratere marziano che ora porte il suo nome.
Sopravvisse a lungo la favola del volto scolpito sulla superfice e rivolto verso il cielo, sorgente di molta acqua complottista, fino a quando, banalmente, di nuovo l’esplorazione diretta dimostrò che si trattava soltanto di giochi di luci e ombre su una roccia. Come una roccia era la figura di una donna pensosa e seduta, ripresa da un Rover, da un robottino vagante.
E ogni anno, in agosto, blog e social network rilanciano la bufala di Marte grande e visibile quanto la luna, nel momento della prossimità minima alla Terra. Ma condizione di guardarlo attraverso un cannocchiale a 75 ingradimenti.
Nessuna esplorazione diretta, condotta da manufatti terrestri che ormai, dal Viking 1 del 1975, punteggiano come rottami crateri e le immense pianure di Marte o, domani, da esseri viventi, riuscirà a spegnere del tutto il nostro desiderio di pensare che forme di vita complesse, intelligenze, creature in grado di interagire con noi, possibilmente in pace, esistano o siano esistite prima che l’atmosfera marziana diventasse anidride carbonica.
Marte come estremo rifugio di un’umanità condannata al suicidio nucleare, raccontata da Roy Bradbury negli anni Quaranta e Cinquanta del terrore atomico o come avamposto militare nel sistema solare travestito da scienza, rimane un sogno, prodotto dalla nostra insopprimibile speranza di non essere soli nell’universo.
«Ma in tutto quel che abbiamo visto, trovato ed esaminato sulla superfice di Marte, non c’è ancora nessuna prova che sia esistita la vita nel nostro cortile di casa», avverte Seth Shostak, direttore del progetto Seti, le grandi orecchie che ascoltano l’universo sperando di cogliere una voce nel rumoroso silenzio della galassia.
Ma anche lo scorrere di un ruscello, sarebbe la voce della vita.