Repubblica 27.9.15
Lo svuotamento di Forza Italia
di Piero Ignazi
A BERLUSCONI tutti ormai, rendono l’onore delle armi. Persino Savini gli ha dedicato frasi di riconoscimento e gratitudine per l’azione volta nel passato. È come spolverare un ritratto di famiglia ingiallito o, se pensiamo all’afflato mistico dell’unto dal Signore che beveva l’amaro calice della discesa in politica, onorare una reliquia. Il suo tempo è passato. Solo l’incredibile risultato delle elezioni del 2013, con Grillo alle stelle e Bersani nella polvere, lo aveva rimesso in gioco. E questo nonostante la catastrofica perdita di voti dell’allora Pdl. Ora non ci sono più spazi di manovra. L’irruzione e l’irruenza di Matteo Renzi lo ha relegato in un angolo. Berlusconi si era illuso che il patto del Nazareno lo riportasse in auge; invece, era solo una stampella a disposizione del nuovo capo del governo, buona per irretire e imbrigliare l’avversario di sempre e gestire gli oppositori interni. Nient’altro. Al momento delle scelte importanti come l’elezione del Presidente della Repubblica, Renzi non ha esitato un attimo a disfarsene. Ha reso la pariglia rispetto allo sgambetto fatto da Berlusconi a D’Alema sulla bicamerale, negli anni Novanta.
Da tempo il gruppo parlamentare di Forza Italia è un sorta di albergo del libero scambio, dove però non entra quasi nessuno (una Di Girolamo non fa primavera) mentre escono a frotte. L’ultimo gruppo di scissionisti lo ha guidato l’un tempo fedelissimo Denis Verdini. Questa nuova componente non ha ambizioni egemoniche sull’elettorato di destra. Ripropone il classico canovaccio dei “responsabili”, esponenti di un ceto politico che per rimanere in vita offre i suoi servigi al governo. La politica italiana ne ha viste a dozzine di operazioni di questo tipo: non hanno mai portato a nulla. Non è da quelle parti che può nascere una alternativa al berlusconismo. Sono altri, in primis Meloni, Fitto e Salvini, i contendenti per la guida dello schieramento di destra. Sono tutti quarantenni, chi appena uscito da Fi come Fitto, chi prima entrata e poi uscita di nuovo come Meloni, chi mai entrato e tutto calato in un’altra storia come Salvini. In questo trio Matteo Salvini gode di una posizione di vantaggio perché dispone di una forza politica consolidata e con il vento in poppa. È stabilmente sopra Fi quanto a intenzioni di voto e dispone di una agenda politica chiara e accattivante, intessuta di messaggi xenofobi e sicuritari. E a forza di diluire il suo tasso di padanità, la Lega scende sempre più efficacemente al sud. Le sue potenzialità dipendono proprio dal passaggio dalla dimensione regionale a quella nazionale. Il lancio di Lega Italia va in questa direzione. Giorgia Meloni, oltre a giocare sul fattore donna, può profittare di un serbatoio di riferimenti politicoculturali e di un elettorato – della destra postmissina: un richiamo muscolare allo Stato e alle sue prerogative anche in economia, una assertività proto-nazionalista in politica internazionale, un omaggio ai valori cattolico-tradizionali (dimenticando Francesco). Una destra classica, forse troppo per questi tempi moderni, e ancora relegata in una nicchia dalla quale, ad eccezione di Meloni, nessuno riesce ad uscire. Il movimento di Raffaele Fitto è quello più in sintonia con l’anima profonda del berlusconismo, soprattutto quella meridionale. Lo straordinario successo personale di Fitto alle Europee, primo nella sua circoscrizione, e secondo assoluto in Italia, dimostra che, al di là di quell’aria sonnolenta simil-morotea, Fitto riesce a convogliare attenzione e consensi. Il suo atout sta proprio nell’empatia che lo lega all’elettorato berlusconiano, grazie alla riproposizione, riveduta e corretta, dei temi portanti della Fi d’un tempo; il suo limite, nella dimensione prevalentemente meridionale del suo appeal. Nessuno dei tre leader ha quindi in mano le chiavi del successo. Tutti insistono su spezzoni diversi dell’elettorato del centrodestra. È probabile allora che vi saranno alleanze tattiche tra i nuovi leader e chi , eventualmente, conserverà il reliquiario forzista; ma è improbabile che si consoliderà un nuovo attore unitario di questa area. Ai due pivot della politica nazionale, Pd e M5S, si affiancheranno, quanto meno nel breve periodo, una serie di partiti medio-piccoli sul fianco destro. Uno scenario inedito nella politica italiana.