Repubblica 26.9.15
Noi tedeschi in crisi d’identità
di Matthias Mueller e Peter Schneider
LEGGENDO le drammatiche notizie sul caso Volkswagen, mi sembra che una parte dell’anima tedesca oggi appartenga ai colossi dell’auto made in Germany.
E QUINDI l’anima tedesca è in crisi, perché scopre all’improvviso che un simbolo decennale del suo successo di Paese risorto nel dopoguerra dalle macerie, democrazia solida e aperta al mondo — lo dico per Vw, non so quanti e quali altri produttori mondiali siano coinvolti — è fondata da tempo sull’inganno. L’anima tedesca è in crisi, perché questo inganno fa a pezzi l’immagine di credibilità attendibile che a fatica il Paese si era ricostruito. Il caso colpisce al cuore l’anima tedesca, anche perché abbiamo sempre pensato che tutti gli altri paesi sono corrotti, ma noi no: addio all’illusione di essere diversi, migliori rispetto agli altri, in Europa e nel mondo.
Inutile illudersi, noi tedeschi e il resto d’Europa e del mondo, che sia in gioco solo la reputazione di Vw: è in gioco l’immagine del Made in Germany quale sinonimo costitutivo della ricostruzione postbellica, e della fierezza di se stessi, delle virtù tedesche — onestà, serietà, affidabilità — che dopo il 1945 ci fu così arduo ritrovare. Sono spesso in America, sento spesso dire dagli amici americani che per loro i sinonimi della Germania nel loro immaginario collettivo sono “Hitler and good engineering”. Ora purtroppo quel primo orrendo sinonimo resta, ma il secondo diventa “cheating engineering”, tecnologia imbrogliona. Truffa con cui Vw si è creata un vantaggio illegale e scorretto rispetto alla concorrenza mondiale, e questa sua truffa pesa oggi sulla coscienza della nazione.
Riflettendo ancor più a fondo, emergono altre consapevolezze amare: per anni Vw e forse altri produttori hanno mentito al mondo. Proprio loro simbolo del Made in Germany, di eccellenze di un Paese ecologista come pochi altri, hanno detto il falso, hanno sostenuto che è possibile produrre e vendere auto sempre più grandi, potenti e pesanti ma sempre meno inquinanti. Fu soprattutto l’industria dell’auto tedesca e americana a illudere i consumatori mondiali convincendoli che i SUV, quelle orrende jeep di lusso sinonimo di visibile egoismo arrogante, erano ecologici. E’una menzogna di cui adesso paghiamo il conto. La situazione è tanto seria, che persino la Schadenfreude (la gioia maligna per le disgrazie altrui, in questo caso gioia di altri per la disgrazia tedesca) non fa piacere. Nella mia vita, ho avuto la fortuna di vivere nella Germania più felice, migliore, più amata dal mondo che la Storia abbia mai visto. Fino a pochi giorni fa era così... anche con Angela Merkel e le sue braccia aperte ai migranti, risposta civile europea ai razzisti come Orbàn. Ma adesso ci troviamo a una cesura seria. Non siamo alla fine della Storia di questa Germania felice e in pace col mondo, ma alla fine della sua identificazione folle con i successi dell’industria dell’auto. Che tristezza, se pensiamo a come le nostre “famose capacità tecnologiche” avrebbero potuto essere usate per produrre auto sempre più pulite, anziché per imbrogliare con quei software che falsavano i test.
Ci è mancato qualcosa di costitutivo, in un comparto economico chiave e determinante. Ci è mancata, per scelta dei big dell’auto che volevano soltanto vendere ogni anno più vetture, l’immaginazione e la creatività che a volte non vediamo, a volte fingiamo di non vedere altrove. Penso per esempio agli Stati Uniti dove l’alta tecnologia è culturalmente piu legata all’innovazione in nome della curiosità e della qualità della vita. Basta l’esempio della Tesla, la supercar familiare elettrica da 500 cavalli che loro hanno pensato e costruito, e che vendono con successo. Noi avremmo la capacità tecnologica di farlo, ma i nostri grandi Autokonzern hanno scelto di rinunciarvi.
Purtroppo rimane un’altra domanda sul Dieselgate. Come spiegare il silenzio di anni del sindacato più potente del mondo, rappresentato in forza al vertice Volkswagen in nome della Mitbestimmung, la cogestione? Che cosa significa, e che cosa cela, questa armonia dei silenzi tra azienda-simbolo e sindacato- simbolo della democrazia nata dalle macerie? Finché ci mancheranno i risultati delle indagini sui responsabili, sulle aziende colpevoli e mentitrici tedesche e magari anche non tedesche, ci rimane solo etichettare ogni auto Volkswagen come un pacchetto di sigarette, con avvisi obbligatori sul pericolo dell’uso.
(testo raccolto da Andrea Tarquini)