martedì 22 settembre 2015

Repubblica 22.9.15
La caduta del mito
C’È il senso di un doppio tradimento nella catastrofe epocale della Volkswagen sorpresa a barare.
di Vittorio Zucconi


IL TRADIMENTO del mito globale della integrità tedesca e il culto della affidabilità industriale della più grande e dunque amata azienda automobilistica del mondo.
Il “Dieselgate”, come è stato subito e inevitabilmente ribattezzato, certificato dal governo americano dopo mesi di test, ricerche, spiegazioni e finalmente confessioni, ha colpito il pubblico degli acquirenti come la scoperta della infedeltà di una persona cara. E il 70% dei proprietari delle vetture vendute considera quei 18 miliardi di dollari inflitti come multa alla casa di Wolfsburg come “troppo pochi”, ignorando che sono il massimo esigibile dalla Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale.
Il sotterfugio da magliari dell’informatica escogitato dai tecnici della Volkswagen riprogrammando le centraline per far credere che il motore 4 cilindri turbodiesel, il leggendario Tdi, eruttasse meno ossido di azoto — uno degli inquinanti più nocivi — ha colpito, e offeso in modo personale, coloro che al marchio creato nel 1937 per produrre “l’auto per il popolo” hanno dato per decenni la propria fiducia.
Dall’indimenticabile Maggiolino che fu l’automobile prodotta per più anni, dal 1938 al 2003, e nel maggior numero di esemplari nella storia delle quattroruote con oltre 21 milioni venduti, per non dimenticare il primo minivan della storia, icona di giovani generazioni di nomadi motorizzati, la Vw ha costruito le proprie meritate fortune sulla granitica certezza del German engineering . Sulla certezza della solida, a volte stolida, precisione ingegneristica germanica.
Ma non è stato l’errore dei progettisti, il cedimento del controllo di qualità o il difetto di un componente, come accade nei milioni di automobili richiamate ogni anno e per ogni marca, da Toyota a Chrysler, da Gm e Ford, a scatenare l’indignazione dei clienti e degli investitori che hanno scaricato titoli dellaVw in Borsa come fossero diventati radioattivi È stata la realizzazione che qualcuno, forse all’insaputa, forse con il tacito consenso dei massimi dirigenti, aveva manipolato le carte per far riuscire il gioco, come un imbonitore nel gioco delle tre carte. Una serie di comandi nella centralina che controlla il motore era stata programmata per far capire all’auto che qualcuno stava controllando le emissioni di azoto e ridurle per farle superare il test. Quando un piccolo laboratorio della West Virginia ha voluto scoprire, ammirato, quale fosse il segreto tecnologico di un motore diesel che riusciva a minimizzare l’inquinamento senza usare serbatoi di ammoniaca come avviene nei Diesel Blu più sofisticati e costosi, il trucco è stato esposto. I tedeschi della Volkswagen, forse quegli stessi che perentoriamente accusano altre nazioni e altri popoli di falsificare i conti e di barare, erano stati scoperti a barare.
Una rivelazione che ha subito acquisito connotati ben più seri della umiliazione per una grande azienda che era riuscita, per la prima volta nel primo semestre del 2015, a scavalcare la Toyota e a insediarsi come prima casa automobilistica del mondo, con 5,4 milioni di vetture vendute contro i 5,2 dei giapponesi. La truffa dell’inquinamento arriva proprio mentre si accelera nel mondo, e ne parlerà anche Papa Francesco all’Onu, la spinta per contenere l’inquinamento prodotto dall’uomo. Obama, che si dice «estremamente preoccupato» e la Casa Bianca stanno, attraverso il Dipartimento della Giustizia, esaminando la possibilità di incriminare la dirigenza della Vw per reati da “colletti bianchi” e per avere “cospirato” per compierlo. Dunque andando ben oltre le classiche multe a industrie pizzicate a fare un lavoro scadente o a commercializzare prodotti insicuri. Angela Merkel, che avverte l’effetto catastrofico del “Dieselgate” sull’immagine virginale della Germania, ha chiesto indagini e spiegazioni. Il presidente del gruppo, Martin Winterkorn, ha ammesso tutto, a suo onore, e ha accettato piena responsabilità. In Giappone, per molto meno il responsabile di una mutinazionale sorpreso in tale imbarazzo planetario prenderebbe in seria considerazione la propria sciabola.
Ma il danno è di proporzioni incalcolabili, come lo è l’ombra di quelle due iniziali che sono proiettate su tutto il pianeta da deccenni e non soltanto sul piano industriale e commerciale, anche se i già faticosi piani della Volkswagen per vendere modelli a gasolio negli Usa come alternativa ecologica agli ibridi preferiti dai giapponesi saranno devastati anche per l’altro grande brand del gruppo, la Audi. Il rapporto che corre fra il proprietario e la sua automobile, soprattutto, ma non solo, nel mercato americano, è qualcosa che trascende la semplice utilità di un mezzo capace di trasportare il guidatore e la famiglia dal punto A al punto B. È una relazione personale, emotiva, costruita sulla fiducia, come qualsiasi relazione.
Difetti, guasti, delusioni, disamoramenti sono comuni, e il detto popolare vuole che esistano soltanto due giorni felici nella coabitazione con l’automobile, il giorno in cui la compri e quello in cui la vendi. Nessuno pretende la perfezione, tutti sono coscienti della “obsolescenza programmata” in ogni vettura, che ne prestabilisce il logoramento e l’attesa di vita e quindi la necessità di sostituirla. Ma nessuno, fino a oggi, aveva immaginato che si potesse riprogrammare per dolo il comportamento della propria macchina per far credere che facesse quello che non fa.
Non ci può essere alcuna Schadenfreude , nessuna gioia malvagia per i guai altrui, come dice una parola composta creata proprio dai tedeschi, per la scoperta che anche la Germania sa imbrogliare il cliente nascondendo il fatto che le emissioni nocive dei propri motori diesel 4 cilindri erano 40 volte superiori al massimo consentito dalla legge. Ma questo è un caso internazionale, un incidente che tocca l’Europa, della quale la Germania è la — spesso — prepotente bandiera, favorisce la concorrenza non europea, fa gongolare segretamente giapponesi e cinesi, come già i disastri dolorsi delle finanziarie di Wall Street, perché spalanca interrogativi sull’integrità, sulla onestà, di aziende che hanno fatto della propria reputazione il vero punto di forza.
Quali altre centraline manipolate a nostra insaputa ci sono là fuori, nel nostro vano motore? Che cosa è stato programmato nei cervellini delle nostre vetture? Quali altri “giochi delle tre carte” sono fattibili, soprattutto ora, nel tempo dell’elettronica padrona, quando è addirittura possibile prendere il controllo di un’automobile a distanza, penetrando nelle chip via Internet? E se barano anche i tedeschi, sempre pronti a dare lezioni di integrità agli altri, di chi ci si può fidare?