Repubblica 21.9.15
A cosa servono davvero le tasse
di Vincenzo Visco
L’autore è stato ministro del Finanze del Tesoro e del Bilancio
CARO direttore, un dibattito alquanto confuso, e in cui sembra assente ogni consapevolezza storica e culturale, si sta svolgendo sul problema delle “tasse”.
Si è detto e scritto che la sinistra italiana rappresenta il “partito delle tasse”, orientato al “tax and spend”, e cioè allo spreco e alla persecuzione dei contribuenti. Ma si tratta ovviamente di una deformazione caricaturale e polemica di questioni piuttosto serie.
Infatti la questione fiscale è stata una discriminante fondamentale della contrapposizione tra destra e sinistra, liberali e socialisti (e liberal-democratici), tra liberisti e keynesiani, capitalisti e sindacati, nell’intero corso del ‘900, e lo è ancora.
Del resto, se si guarda agli Stati Uniti, Obama è attaccato dai repubblicani del tea-party proprio sulle tasse; ai suoi tempi il labour di Tony Blair era contestato dai conservatori per lo stesso motivo, ed in effetti quei governi aumentarono la pressione fiscale in Inghilterra di un paio di punti di Pil.
La contrapposizione riguarda la funzione pubblica nell’economia, e quindi soprattutto il sistema di welfare: la sinistra ha promosso il welfare, lo sostiene e lo vuole finanziare, e ritiene che debba essere gestito direttamente dallo Stato, e per questo servono le tasse. La destra è molto più tiepida: preferisce un welfare affidato al mercato col sostegno indiretto dello Stato, (istruzione privata, sanità privata, fondi pensione) e talvolta è semplicemente contraria.
La sinistra ritiene che una società coesa grazie al welfare sia più efficiente e produttiva per effetto della riduzione dei rischi individuali. La destra ritiene che se si riducono le tasse e la spesa si responsabilizzano gli individui che sono spinti ad accrescere gli sforzi produttivi.
Per la sinistra l’eguaglianza è un obiettivo importante, ed essa è consapevole che le tasse in quanto tali non sono tecnicamente in grado di produrre un effetto perequativo rilevante, mentre un welfare ben costruito è fondamentale per la riduzione delle diseguaglianze: sono infatti le spese per la istruzione, la sanità, la previdenza, il sostegno nei periodi di disoccupazione e per l’assistenza ad assicurare l’effetto redistributivo della finanza pubblica.
Per la destra, invece, le diseguaglianze che si creano sul mercato riflettono in buona misura le differenze di produttività che esistono nel mercato stesso, per cui esse sono giustificabili, anzi funzionali allo sviluppo (salvo la tutela della povertà estrema, per cui è comunque preferibile per la destra il ricorso a meccanismi di elargizione volontaria ( di natura caritatevole) fiscalmente incentivati.
Per la sinistra è opportuno che il sistema tributario sia “informato a criteri di progressività”, e quindi occorre tassare più i ricchi che i poveri, più i patrimoni che i redditi, più i capitali che il lavoro, più il reddito che il consumo. In tale contesto la sinistra è storicamente favorevole all’imposta progressiva. Per la destra valgono principi opposti: la tassazione non deve “distorcere” il funzionamento dei mercati, e anzi il sistema fiscale deve agevolare l’attività economica, anche se così facendo si aumentano le diseguaglianze; infatti se i ricchi stanno bene, alla fine anche i poveri ne trarranno benefici. La progressività delle imposte va eliminata a favore di imposte “piatte” (proporzionali).
In ogni caso la sinistra si batte per un sistema fiscale orientato a chiedere un contributo maggiore ai più ricchi. Per la destra, invece, poichè sono i poveri i principali beneficiari del welfare, è bene che anche essi si facciano carico in misura rilevante del suo finanziamento, e quindi cercano sistematicamente di ridurre il carico fiscale su alcuni cespiti (redditi di capitale, patrimoni, profitti) e di trasferirlo su altri (consumi, redditi da lavoro).
La sinistra è contro l’evasione fiscale. La destra, almeno in Italia, spesso la tollera, o addirittura la giustifica e la incentiva. E in verità nel dibattito italiano l’evasione fiscale è il vero convitato di pietra, dal momento che la polemica contro le tasse spesso nasconde la difesa di uno status quo ormai anacronistico, in cui esiste una sproporzione molto rilevante tra il prelievo dei lavoratori dipendenti e degli altri contribuenti.
Per la destra la riduzione delle tasse aumenta comunque il grado di libertà di un Paese. Per la sinistra la libertà (dal bisogno) e la dignità delle persone dipendono dal lavoro e dal welfare e quindi dalla spesa pubblica (e dalle tasse).
La sinistra sa che l’evasione fiscale e la corruzione vanno di pari passo e che non ci può essere corruzione senza che prima (e dopo) ci sia evasione fiscale. E quindi desidererebbe il massimo rigore su ambedue gli argomenti. La destra è invece molto più tollerante nei confronti dei reati dei colletti bianchi.
La sinistra sa che l’evasione dei ricchi e delle grandi imprese viene chiamata elusione o abuso del diritto, e vorrebbe equiparare le conseguenze dei due comportamenti. Per la destra l’elusione è un comportamento legittimo, anzi doveroso… Ecco nel dibattito in corso queste semplici considerazioni andrebbero tenute presenti e valutate molto attentamente, in quanto questo è un terreno sul quale le posizioni della destra e della sinistra sono da sempre difficilmente conciliabili.
Certo la destra ha accettato l’esistenza del welfare (anche se aspira a ridimensionarlo), e la sinistra non pone obiezioni al principio che gli eventuali sprechi nella spesa pubblica vadano eliminati, e sa che è bene non esagerare con le tasse perché di tasse si può anche morire; la sinistra peraltro è anche consapevole della esigenza di mantenere in equilibrio i conti pubblici e di ridurre il debito (cosa che almeno in Italia la destra non sembra in grado di fare). Tuttavia la convergenza al centro dei partiti politici alla ricerca di voti non potrà mai superare i limiti posti dalla cultura, dagli interessi, dalla ideologia, e dalla storia in cui gli elettori di destra e di sinistra si riconoscono. Se su questo terreno si esagera o si commettono errori si possono perdere molti consensi da una parte e dall’altra.