venerdì 18 settembre 2015

Repubblica 18.9.15
Ci sentiamo tutti Napoleoni digitali
L’analisi di Zygmunt Bauman sul divario tra il quartiere reale in cui viviamo (che ci obbliga al dovere) e quello virtuale che ci regala l’illusione del comando
di Zygmunt Bauman


L’idea di “vicino” è normalmente associata a una persona che vive nella casa accanto o comunque a breve distanza da dove viviamo noi. Quando parliamo di “quartiere”, di solito abbiamo in mente un’area relativamente piccola, di un diametro percorribile a piedi, popolata da persone che conosciamo o
di cui sappiamo qualcosa, le quali inoltre, probabilmente, ci conoscono o sono comunque consapevoli della nostra esistenza: persone in cui con ogni probabilità ci imbattiamo ogni volta che usciamo, che vediamo passare per strada o alla fermata dell’autobus, con cui parliamo, che talvolta bussano alla nostra porta per scambiare informazioni o chiedere aiuto. Il “quartiere” è una zona grigia che separa e connette lo spazio dell’anonimato e quello della familiarità. Non selezioniamo i nostri vicini, e nemmeno li de-selezioniamo. Sono semplicemente lì, un dato: e indipendentemente dalla nostra opinione, che ci piaccia o meno, non c’è molto che possiamo fare per cambiare le cose. Prendere o lasciare: non c’è una terza opzione. Una volta che ci si è trasferiti e insediati di propria scelta in un quartiere, tuttavia, si diventa ostaggi del destino. Sia esso un verdetto del fato o una mia selezione e composizione, il quartiere è il territorio popolato da quelli che George Herbert Mead definiva «gli altri significativi»; è lo spazio del confronto, dell’opposizione e della riconciliazione tra l’”Io” e il “Me”, e la scena su cui vengono rappresentati i drammi dell’auto-identificazione e della ricerca di riconoscimento.
Questo non è comunque l’unico mondo in cui possiamo tracciare una linea tra vicino e remoto, prossimità e distanza: anzi tra “noi” e “loro”. Su un pianeta dotato di sistemi internet che rendono possibile la trasmissione e la ricezione di informazioni in tempo reale, le versioni elettroniche del quartiere non devono necessariamente essere, e in effetti fin troppo spesso non sono, spazialmente continue. Possono essere frammentate, disseminate e sparse attraverso distanze geografiche enormi. Nella condizione della compressione spazio-temporale, la distanza dalla destinazione non si misura in miglia o chilometri, ma tramite il tempo necessario per raggiungerla: e grazie alla tecnologia elettronica più avanzata questa differenza temporale è prossima allo zero. C’è tuttavia una differenza terribilmente importante tra le due specie di quartieri. Quelli reali, senza chiedere il permesso agli abitanti, intagliano una specie di cuneo “addomesticato”, regolato dall’abitudine, che contiene uno spazio di familiarità relativamente ben mappato sullo sfondo delle vaste distese di un’estraneità mai visitata, scarsamente mappata e non assimilata. I quartieri elettronici, noti come “reti”, fanno lo stesso, ma in modo programmato e sotto la supervisione del loro proprietario/manager. È la mia rete, sono io che l’ho messa insieme. Io (unione in una sola persona di progettista, proprietario, manager e supervisore) sono colui che emette o rifiuta i permessi d’ingresso e ho il potere di modificare la mia decisione a mio desiderio e piacimento.
Mentre, senza che mi venga chiesto, sono uno tra gli innumerevoli esseri umani che appartengono al quartiere reale nel quale mi trovo a risiedere in un determinato momento, del mio quartiere elettronico costituisco il compositore e lo snodo centrale, anzi sono la pietra angolare della costruzione, sfilando la quale l’intera struttura è destinata a collassare: così, mi sento come il Sole attorno al quale gli altri ruotano come pianeti. Io appartengo al quartiere, mentre le reti mi appartengono. Ho selezionato io i loro membri, ho il potere di stabilire ( e di modificare a mio piacimento) il loro grado d’importanza e sono io che assegno a ciascuno di loro il ruolo che mi aspetto svolgano.
Volente o nolente, allegramente o digrignando i denti, devo sottopormi alle regole, espressamente dichiarate oppure non scritte (osservate tacitamente ma con scrupolo), che sono imposte a ogni membro di un quartiere reale. Quanto alle reti, viceversa, sono io che elaboro le regole a cui devono sottoporsi i membri. Nel mio quartiere posso sentirmi a casa, ma un quartiere resta comunque il regno del “dovere”. La rete, d’altro canto, è la terra di una sfrenata libertà, o quanto meno vorremmo e ci aspetteremmo che fosse così. Le reti, con la loro promessa di immunità rispetto alle dure richieste e ai laceranti dubbi e dilemmi per i quali i quartieri reali sono notori, costituiscono una tentazione. A paragone dei disagi e degli ineludibili inconvenienti dei quartieri “reali” (ossia non suscettibili di venire messi da parte, tanto meno per semplice desiderio), le reti sembrano offrire un rifugio seducente e confortevole. Danno sollievo, ma non conducono affatto più vicino a una qualsivoglia soluzione dei problemi che hanno ispirato la ricerca di un rifugio. Messi temporaneamente sotto al tappeto, essi non perdono niente della loro velenosità e sono sempre pronti a riemergere per vendicarsi: quando lo fanno, come è d’obbligo che accada, troveranno i fuggitivi ancor meno attrezzati per farvi fronte rispetto a quanto lo erano prima del loro tranquillo, disarmante e paralizzante soggiorno nel rifugio dove hanno cercato di sfuggire al trambusto della vita offline.
Il mondo offline (il quartiere “reale”) è sotto diversi aspetti il diretto contrario del mondo online della rete. Entrambi i mondi sono forse saturi di incertezza, ma l’incertezza nella variante online è assai gestibile e ragionevolmente controllabile, mentre quella del tipo offline non è gestibile ed è fuori controllo: per queste ragioni, la prima è fonte di azioni godibili e dall’efficacia gratificante, al punto che ci fa sentire capaci di tutto, mentre la seconda è sgradevole e sconcertante e ci fa sentire incapaci. Tutti noi senza eccezione viviamo adesso, a intermittenza ma assai spesso simultaneamente, in due universi: online e offline. Le loro differenze possono venire negoziate, e in effetti lo sono, ma difficilmente possono venire conciliate. Tocca a ciascuna persona immersa in entrambi gli universi (e ciò significa a tutti, senza eccezione) risolvere i loro conflitti e tracciare i confini dell’applicabilità di ciascuno dei loro distinti e spesso contraddittori codici.
(Traduzione di Daniele Francesconi)