venerdì 18 settembre 2015

Repubblica 18.9.15
I conti del premier: “Stavolta ci siamo, intesa possibile ma senza ricominciare daccapo”
Il capo del governo: “Io ho i numeri ma coinvolgerò la minoranza” L’idea di cambiare solo il comma 5: alle regioni la ratifica dei senatori
di Francesco Bei


ROMA La sala operatoria è ormai allestita, tutto è pronto per l’operazione chirurgica. Perché se, sotto i riflettori, renziani e minoranza Pd continuano a suonarsele, dietro le linee un pertugio viene scavato sotto le due trincee. Ed è stato proprio Renzi a dare l’input per provare a riunificare il Pd. «Una volta chiarito che la riforma in aula comunque ha i numeri per passare, si può ragionare», è la premessa che il capo del governo ha fatto ieri ai suoi fedelissimi dopo che il tabellone di palazzo Madama aveva registrato un ampio scarto sulle pregiudiziali di costituzionalità. Certo, stavolta la minoranza ha votato insieme al resto del partito e le opposizioni non si sono presentate compatte in aula. Tuttavia per palazzo Chigi si è trattato comunque di un segnale positivo. «I numeri ci sono - ripete Renzi - e lo dimostrano quegli 80 voti di differenza sulle pregiudiziali. Anche se tutti i dissidenti votassero contro avremmo comunque la maggioranza con un margine di una trentina di voti». Un conteggio che viene contestato dai bersaniani e che suona fin troppo spavando anche per Pietro Grasso, che non si stanca di appellarsi al «dialogo» contro le prove di forza muscolari. Eppure proprio l’apparente certezza sui numeri consente al premier di mostrarsi più disponibile a un compromesso. Non obbligato dai rapporti di forza sfavorevoli, ma per scelta politica.
Ecco dunque il ramoscello d’ulivo che il segretario offirà lunedì alla direzione: «Il caposaldo è che non si tocchi quanto nell’articolo 2 è passato con la doppia lettura conforme di Camera e Senato. Sul resto siamo disponibili. Io i voti ce li ho, ma siccome il loro apporto mi sta a cuore sono aperto a un’intesa». Questo «avere a cuore» i voti della minoranza non arriva però fino al punto di «rimettere tutto in discussione». Ma se le modifiche fossero limitate, il se- gretario è pronto a dire sì. Non solo sul nodo dell’indicazione dei consiglieri-senatori da parte dei cittadini, ma anche sulle funzioni del nuovo Senato e sull’elezione di due giudici costituzionali. Quanto al modo per arrivare all’obiettivo, Renzi non sembra molto interessato alle “tecnicalità” costituzionali. L’ipotesi più semplice sarebbe quella caldeggiata da Giorgio Tonini e ammessa anche dal ministro Boschi. Un’operazione “chirurgica” appunto limitata al comma 5 dell’articolo 2, già modificato da Montecitorio e quindi riapribile senza problemi. Per Renzi esistono anche altre due strade, quella suggerita da Finocchiaro e dai costituzionalisti di Astrid, con un intervento sull’articolo 35 del nuovo testo. Oppure l’introduzione di una norma che lasci libere le regioni di regolare con una propria legge le modalità di selezione dei senatori. Il ventaglio di proposte è ampio, si va dai consiglieri che hanno ricevuto più preferenze fino al listino su una seconda scheda elettorale.
La trattativa dietro le quinte è ripresa e martedì, prima della scadenza indicata per la presentazione degli emendamenti, ci sarà una riunione delle minoranze per decidere se accettare o meno l’offerta. Su questo lavorìo pende ancora come una spada di Damocle la decisione di Pietro Grasso. Ma il presidente del Senato, pur senza sbilanciarsi, fa sapere attraverso il suo staff di aver sempre guardato con favore a una «soluzione politica negoziata», che eviti uno scontro in aula dagli esiti imprevedibili. Se dunque maggioranza e minoranza dem dovessero concordare su una soluzione, è lecito attendersi che Grasso stesso, assicurano i suoi, «se ne farà garante» nel passaggio in aula. E le sue decisioni sull’emendabilità dell’articolo 2 saranno conseguenti, per proteggere la riforma dai milioni di emendamenti annunciati.
Per facilitare l’accordo Renzi metterà in campo un’altra offerta rivolta alla sinistra interna. L’assicurazione che «se la riforma passasse velocemente, prima della sessione di bilancio si potranno approvare anche le unioni civili».
L’ultimo tassello della strategia riguarda Berlusconi. Da Forza Italia, ha spiegato il premier ai suoi, arrivano segnali positivi: «Metteteci nella condizione di poter votare a favore delle riforme ». La condizione posta dagli ambasciatori dell’ex Cavaliere è la modifica dell’Italicum con la reintroduzione del premio di maggioranza alla coalizione. Almeno per il momento, Renzi continua a essere contrario a una modifica della legge elettorale. Ma è già capitato in passato che un no secco del premier diventasse prima un Ni e poi un Sì.