venerdì 18 settembre 2015

La Stampa 18.9.15
Sullo sfondo della querelle anche la difesa del Presidente
di Marcello Sorgi


Esploso ieri pomeriggio a distanza, lo scontro tra il presidente del Senato e il premier era nell’aria da giorni. Grasso, che non ha gradito l’accelerazione decisa da Renzi per la riforma, non s’è fatto scappare la frase attribuita al presidente del consiglio sulla sua pretesa intenzione di trasformare in museo la Camera Alta, e l’ha duramente criticata anche se Renzi l’aveva seccamente smentita di buon mattino.
Adesso tutti si chiedono se questo sia il preludio per un’apertura del presidente del Senato alla contestata emendabilità dell’articolo 2 del testo in discussione, ciò che comporterebbe di far ripartire da capo il complesso iter della revisione costituzionale. Renzi ha detto che se Grasso si pronuncerà in questo senso, il governo «ne trarrà le conseguenze», cioè, in altre parole, si dimetterà se dovesse andar sotto in una delle votazioni. E Grasso ha replicato che si aspetta giorni più convulsi di questi, frase che ha fatto temere che si orienti, se non proprio ad ammettere tutti gli emendamenti, a trovare un qualche modo per consentire alle opposizioni di esprimere il loro dissenso sulla riforma.
In realtà Grasso non ha alcuna fretta di comunicare una decisione che probabilmente non ha ancora preso. Ma sente il dovere di difendere energicamente l’istituzione che rappresenta e di garantire il massimo di trasparenza sulle decisioni che porteranno, se non proprio alla fine del Senato, a una sua drastica trasformazione. Non si giustifica la fretta e l’atteggiamento sbrigativo con cui Renzi vuol chiudere la partita. E avrebbe preferito mille volte un accordo politico tra maggioranza e minoranza del Pd, che non lo scontro esasperato sugli emendamenti che adesso gli tocca ricomporre. Inoltre, teme che una sua decisione squilibrata a favore del governo o delle opposizioni si ritorca contro il Capo dello Stato, a cui è legato da antica amicizia, e che già adesso è chiamato in causa impropriamente dalle opposizioni che rimproverano a Renzi, nientemeno, di voler fare scempio della Costituzione.
Accusa, questa, che il premier considera risibile, di fronte a una riforma che aspetta da settant’anni, cioè dall’epoca dei padri costituenti, ed è approdata in Parlamento al ritmo di una discussione ogni sei mesi. Per questo Renzi non capisce gli indugi di Grasso: per lui infatti la riforma può essere approvata in una decina di giorni, rivotata per l’ultima volta dalla Camera nella prossima primavera e sottoposta a referendum nell’autunno 2016: una scadenza a cui il premier tiene molto e per la quale si sta già preparando.