Corriere 18.9.15
Il turbamento dell’ex magistrato «Il dibattito pubblico precipitato in basso» Incognita voti segreti In Aula gli avversari del capo del governo sperano nei voti segreti specie sull’articolo 1
di Monica Guerzoni
ROMA «Sono giorni convulsi e i prossimi, temo, saranno anche peggio...». Non è con l’animo del combattente pronto a tutto che Pietro Grasso si avvia verso la sfida finale, che può cambiare i destini del governo e forse della legislatura. Piuttosto, com’è nel suo carattere e in sintonia con Sergio Mattarella, il presidente del Senato coltiva la «remota speranza» che il duello decisivo possa essere evitato. E che la Politica, nel senso più alto del termine, riesca nel miracolo di riconciliare bianchi e neri, guelfi e ghibellini, filogovernativi e antigovernativi: «Sono un inguaribile ottimista». Dispiaciuto per «il livello basso in cui è precipitato il dibattito pubblico» e visibilmente stanco per le pressioni e le minacce politiche che ritiene di aver subìto dai vertici del Pd, l’inquilino di Palazzo Madama ha stigmatizzato l’idea che il Senato possa diventare un museo. Renzi ha smentito, eppure Grasso con quell’affondo ha voluto ribadire la sua allergia al populismo, che gli fa dire frasi come questa: «Se annunciassi la demolizione del Senato, il dibattito si concentrerebbe sul costo delle ruspe».
L’occasione dell’intervento del presidente era un convegno a Palazzo Zuccari sul fine-vita, relatori il cardinale Ravasi, Giuliano Amato, Luigi Manconi e la ministra Beatrice Lorenzin. Visto il contesto, Grasso ha preso come pietra di paragone il dialogo tra «sensibilità profondamente diverse». Perché credenti e non credenti possono trovare un punto di incontro su temi cruciali del destino dell’uomo, discutendo con «lealtà» e «comprensione reciproca», mentre esponenti dello stesso partito non sanno a mettersi d’accordo sull’articolo 2 della riforma del Senato? I renziani si sono convinti che, dopo il blitz della Finocchiaro, Grasso non potrà che seguire le sue impronte. Lui invece rivendica libertà di manovra («la decisione la devo prendere io») e ritiene «non vincolante» il precedente della Finocchiaro, che ha bocciato gli emendamenti ostruzionistici. I suoi (pochi) collaboratori lo hanno sentito più volte sospirare che, se pure arrivasse a pronunciare il temutissimo giudizio di ammissibilità, «non sarà una decisione da fine del mondo». Grasso insomma sdrammatizza, prende tempo e ancora ne prenderà, fino al momento in cui in Aula si aprirà l’esame dell’articolo 2. Ma intanto al Senato si è diffusa l’idea che l’ex magistrato si sia ormai arreso.
Chiuso tra Palazzo Madama e Palazzo Giustiniani, Grasso si sente assediato, quasi privato della libertà di svolgere il suo ruolo in autonomia. Si è scritto che aspiri a rottamare Renzi per guidare un governo istituzionale e lui, con i suoi, si è concesso una risata: «Fantapolitica... Ma chi lo vota, il governo Grasso?». Eppure l’amarezza è tale che la frase di Renzi «se apre l’articolo 2 valuteremo di conseguenza», è stata letta ai piani alti di Palazzo Madama come un avvertimento: «Ci saranno conseguenze». I renziani pensano che Grasso si limiterà a ritenere emendabile il comma 5 dell’articolo 2. Ma prima, auspicano i nemici di Renzi, il presidente si toglierà alcuni (pericolosi) sassolini dalle scarpe. Magari concedendo voti segreti in fase di votazioni sull’articolo 1. Un primo assaggio Grasso lo ha servito ieri, quando ha fatto un piccolo strappo al Regolamento e ha acconsentito alla richiesta delle opposizioni di convocare la conferenza dei capigruppo.
Nei giorni più difficili del suo mandato, il cruccio di Grasso è sentirsi un estraneo in un partito che non lo quasi ha mai difeso. E del quale, non a caso, non ha mai preso la tessera. Voluto da Bersani sullo scranno più alto del Senato, non sente l’ex segretario da mesi, da giorni non parla a quattr’occhi con Finocchiaro e Zanda e pare non abbia rapporti nemmeno con i senatori di minoranza. E se i dissidenti confidavano in lui per evitare il passaggio del ddl all’Aula, a sua volta Grasso è rimasto sorpreso quando i ribelli dem hanno votato il calendario, rinunciando a battersi per rispedire la riforma in Commissione.