mercoledì 16 settembre 2015

Repubblica 16.9.15
Le riforme all’ultimo respiro come in un film di Hollywood
L’auto del premier e quella dei ribelli pd a tutta velocità l’una contro l’altra
Chi sarà costretto a frenare per primo?
di Stefano Folli


IN APPARENZA la disfida del Senato è diventata la corsa nella notte di due automobili scagliate a tutta velocità una contro l’altra: chi si scanserà per prima, un attimo prima dello scontro fatale? L’immagine sembra tratta da un celebre film americano, ma qui si sta parlando di riformare la Costituzione e al volante delle due auto ci sono un presidente del Consiglio e un autista collettivo, la minoranza del Pd.
La corsa dura da giorni, per non dire da settimane, e nessuno si è ancora scansato. Ieri la velocità è ancora aumentata, con le tensioni in commissione Affari Costituzionali e la scelta finale della maggioranza di andare in aula senza ulteriori indugi, così da sciogliere lì i nodi che nessuno ha saputo districare. In definitiva il vero scoglio è uno solo: il fatidico articolo 2, che porta con sé il tema dell’elezione diretta o indiretta dei neo senatori. È questione che sulla carta si può risolvere in fretta, concedendo qualcosa alla minoranza. Ma Renzi e i suoi più stretti collaboratori, come è noto, non vogliono fare questo piccolo passo. Il mantra è: «L’articolo 2 della riforma non si tocca». E se qualcuno ha provato ad aprire uno spiraglio (Tonini e, secondo certe fonti, la stessa presidente Finocchiaro), immediatamente è stato richiamato all’ortodossia.
È una bizzarra situazione. La riforma del Senato è giunta alla terza lettura e in sostanza potrebbe vedere la luce in tempi abbastanza rapidi se si trovasse un compromesso sul modo di eleggere i 95 predestinati. Anche la minoranza del Pd, che avrebbe potuto porre diverse questioni di fondo relative alle funzioni del Senato, si è ridotta a combattere all’arma bianca quasi soltanto sul punto emblematico dell’elezione diretta. I centristi di Alfano a loro volta traballano e il partito potrebbe spaccarsi a metà. Quindi un’intesa sull’articolo 2 equivarrebbe al passaggio della legge perché tutti i dissidenti — esausti — si riterrebbero soddisfatti. Viceversa la rottura definitiva — e oggi non siamo ancora a questo — imporrebbe un azzardo, una sorta di roulette russa in aula, con il rischio di creare i presupposti di una crisi di tipo istituzionale con il presidente Grasso sugli emendamenti. Vale la pena correre questi rischi?
L’altro mantra di Palazzo Chigi è: «Nessuna paura, i numeri ci saranno». Eppure, al di là della propaganda, nessuno è in grado di mettere la mano sul fuoco. Si suppone che il fronte dell’articolo 2 si sfaldi, che tanti al dunque cedano alle pressioni e alle paure. Può darsi che accada, ma non vi può essere certezza. Si torna all’interrogativo al quale Renzi deve ancora dare una risposta politica e non solo mediatica: vale la pena rifiutare qualsiasi accordo ragionevole, pur di non arretrare di un passo? I tempi per l’intesa ci sarebbero ancora, nonostante frizioni reali ma alle volte esagerate. Ci vuole una buona volontà che finora è mancata da entrambe le parti, pur senza dimenticare che il più interessato alla riforma è Renzi e quindi è da lui che dovrebbe venire la soluzione del rebus.
CERTO, un vero giocatore — e il premier lo è senza dubbio — aspetta l’ultimo minuto utile per concedere qualcosa e avviare una mediazione. La stessa decisione di correre in aula può essere interpretata come uno strumento estremo per premere sui dubbiosi prima di negoziare. Intanto però aleggia il terzo mantra: «Se la riforma non passa, si va a votare». Qualcuno, si pensa, finirà per spaventarsi. Ma la minaccia non è molto credibile. Primo, perché nel nostro ordinamento le Camere le scioglie il presidente della Repubblica e di certo Mattarella non intende farsi sottrarre tale prerogativa. Secondo, perché quel tanto di ripresa economica che lo stesso premier enfatizza rischierebbe di dissolversi. Terzo, e non è poco, votare con l’attuale modello proporzionale sarebbe quasi un tornare alla Prima Repubblica. L’opposto esatto della logica renziana. Anche per questo motivo conviene a tutti che la corsa nella notte si concluda con una frenata in extremis.