mercoledì 16 settembre 2015

La Stampa 16.9.15
Questo voto può portare alla crisi di governo
di Marcello Sorgi


La rottura della minoranza Pd e l’abbandono del tavolo delle trattative con la ministra Boschi e la maggioranza del partito non sono certo avvenuti a sorpresa. Dopo la decisione di Renzi di chiudere definitivamente a ogni ipotesi di mediazione sull’articolo 2 della riforma del Senato, agli oppositori interni del premier non restava altra strada. Almeno, adesso, tutto ciò che era intuibile è venuto allo scoperto. La minoranza, con la richiesta irrinunciabile di tornare ai senatori elettivi, è il rifiuto anche della possibilità di mettere gli elettori in condizione di scegliere i consiglieri regionali da destinare alla Camera alta tramite un listino specifico, ha svelato che il proprio vero obiettivo era di far ripartire da capo l’iter parlamentare della riforma. Renzi, che l’aveva capito da tempo, ha deciso di accorciare i tempi e portare la discussione subito nell’aula di Palazzo Madama.
Dove, a questo punto, si voterà non più e non solo pro o contro la riforma, ma anche sulla crisi di governo, che si aprirebbe subito se il governo andasse sotto in una delle votazioni. Decidere quante saranno e cosa riguarderanno queste votazioni, toccherà al presidente del Senato Grasso, che inutilmente nei giorni scorsi aveva invocato un accordo politico interno al Pd, ed ora che quest’intesa si è rivelata impossibile deve stabilire se ammettere le centinaia di migliaia di emendamenti presentati proprio sull’articolo 2. Se li ammette, dà ragione alla minoranza Pd e alle opposizioni e pone il governo a rischio, perché è matematicamente certo che in una tale ondata di votazioni a scrutinio segreto il governo andrebbe sotto. Se rifiuta di ammetterli, applicando l’articolo del regolamento del Senato che prevede che un testo non possa essere rimesso in discussione se le Camere lo hanno già votato due volte in modo conforme, invece dà una mano a Renzi. Grasso è riuscito finora a tenere per sé la convinzione che ha maturato, ma non l’irritazione verso Renzi per il mancato accordo con la minoranza Pd. Il modo brusco con cui ha reagito ieri sera all’annuncio di Palazzo Chigi della convocazione per stamane dei capigruppo del Senato la testimonia.
Su questa complicata situazione in evoluzione vigila il Capo dello Stato. Il suo silenzio non vuol dire approvazione per nessuna delle parti in causa. Ma la sua ferma intenzione di evitare un nuovo scioglimento delle Camere, alla fine, potrebbe rivelarsi utile per convincere i due schieramenti che continuano a farsi la guerra a cercare di nuovo la via di un accordo.