mercoledì 16 settembre 2015

Repubblica 16.9.15
Gerusalemme.
La battaglia di Al Aqsa sassi e molotov nella Città Santa Hamas: “È una guerra”
Fra il Muro del Pianto e la Spianata delle Moschee c’è l’area più sensibile della regione: da tre giorni la tensione fra ebrei e musulmani è alle stelle. E potrebbe salire ancora
Gli incidenti si stanno allargando a tutta la città: Europa e Stati Uniti sono in allarme, Abu Mazen chiede l’intervento dell’Onu
di Fabio Scuto


Gerusalemme. Della battaglia restano sul selciato i bossoli dei candelotti lacrimogeni, delle granate stordenti sparate dalla polizia israeliana, ma anche i cocci delle bottiglie molotov, spranghe, manici di piccone usati dai fedeli musulmani per impedire l’accesso alla Spianata degli ultrà ebraici in pellegrinaggio in questi giorni di festa per Rosh Hashana, il capodanno ebraico, sostenuti dai rabbini estremisti che invitano alla rottura dello “status quo”. Queste visite avvengono solo di primo mattino e sempre sotto la scorta della polizia israeliana antisommossa. Il copione anche ieri è stato quello dei giorni passati: gruppi di fedeli musulmani si sono barricati impendendo ai “visitatori” di avvicinarsi alla Spianata attraverso il Mughrabi Gate – a cui si accede da una malandata passatoia in legno – con il lancio di pietre e suppellettili varie prima, poi sono arrivate le molotov.
Umm Hassan è fra le donne che, assiepate su un lato della strada dopo la battaglia, lanciano insulti e maledizioni ai poliziotti schierati dall’altro lato. Sessant’anni, velata e coperta da un’abaya nera, impugna una copia del Corano come un’arma contundente. Umm Hassan è una “morabita”, una sentinella, che assicura con le sue colleghe donne e i colleghi maschi – i morabitun - che il Terzo luogo santo dell’Islam non sia “profanato” dalle visite di fedeli ebrei che a suo dire non hanno nessun diritto di pregare qui. Sono “volontari” ma sostenuti dalle donazioni dei ricchi emirati del Golfo. «Dobbiamo difendere Al Aqsa dai coloni, appartiene solo a noi», urla per farsi sentire nella calca. Lo stesso mantra che hanno ripetuto gli sheikh estremisti nelle moschee venerdì scorso agitando spettri che trasformano lo scontro in Palestina in una guerra di religione: «Vogliono svuotare Al Aqsa dai fedeli musulmani».
Queste pietre bianche e levigate dal tempo, dai milioni di pellegrini e fedeli che per secoli le hanno calpestaste, che hanno visto passare conquistatori cristiani, arabi, e infine ebrei, sono il luogo più sensibile del Medio Oriente. Il “miglio santo”, nella città vecchia di Gerusalemme dove in poche centinaia di metri si trovano il Santo Sepolcro, la Spianata delle Moschee e il Muro del Pianto, è l’essenza dello scontro per il controllo dei luoghi sacri per le tre grandi religioni monoteiste. Una polveriera dove il minimo incidente può degenerare, come avvenne per la famosa passeggiata di Ariel Sharon nel 2000, e dilagare nei Paesi arabi vicini che ricordano la “santità” di Gerusalemme per l’Islam solo quando conviene alla loro retorica. «Al Aqsa è in pericolo» è il messaggio che corre da giorni nelle capitali arabe, che allarma Stati Uniti e Europa. Gli incidenti scoppiati per il terzo giorno consecutivo fra polizia israeliana e fedeli palestinesi, con decine di arresti e feriti, hanno fatto insorgere anche il moderato Abu Mazen che chiede una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Le autorità palestinesi e musulmane sono allarmate per un possibile cambiamento dello status quo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu – conscio di quanto sia delicata la materia - ha sempre affermato che il suo esecutivo non era interessato a modificare il delicato equilibrio ereditato nel 1967: è permessa la visita ai fedeli ebrei ma non la possibilità di pregare. Ma queste visite negli ultimi tempi si sono moltiplicate e gli ultra nazionalisti ebraici provocano regolarmente incidenti dopo essere entrati come semplici visitatori, altri sognano invece di distruggere tutto e edificare il Terzo Tempio. E questo ha fatto scattare la campagna “Al Aqsa è in pericolo”, con il presidente palestinese Abu Mazen che cavalca quest’onda emotiva in cercando di risalire nel gradimento della sua gente. Hamas e la Jihad islamica – di fatto fuorilegge nella Cisgiordania – puntano sul rilancio dello scontro rivestendolo di religione. «Toccare Al Aqsa è una dichiarazione di guerra», tuonano i portavoce islamici da Gaza intenzionati ad alimentare la tensione che ogni notte si impadronisce della Città Santa. Gli incidenti nei sei quartieri arabi, i cassonetti in fiamme, l’odore dei lacrimogeni che invade strade deserte, il blu dei lampeggianti della polizia sulle colline a Est malamente illuminate, la fretta dei guidatori come cala la prima sera, le strade deserte. Gerusalemme, una città dove la vita è sospesa.