lunedì 14 settembre 2015

Repubblica 14.9.15
L’analista politico statunitense Larry Sabato insegna all’Università della Virginia
“La base dei partiti liberal dell’Occidente chiede di mettere la lotta all’ineguaglianza al centro del dibattito politico e non si accontenta delle mezze misure”
“Jeremy come Sanders ma nessuno dei due vincerà un’elezione”
intervista di Arturo Zampaglione


NEW YORK. La “Corbynmania” sta contagiando la politica americana: da un lato fa “tornare di moda la socialdemocrazia”, come dice il professore del Trinity College di Hartford, Vijay Prashad, dall’altro inietta nuovo entusiasmo tra i sostenitori di Bernie Sanders, il senatore “socialista” del Vermont che ha sfidato Hillary Clinton per la nomination democratica e che, nei sondaggi, continua a insidiare l’ex-segretario di stato.
Sanders è stato tra i primi a congratularsi con Jeremy Corbyn per l’elezione alla guida del partito laburista britannico. «È un fatto positivo nella lotta globale contro le ineguaglianze », ha detto. Ma quali differenze ci sono tra i due esponenti anglosassoni? E cosa potrebbe cambiare nello scenario elettorale americano?
Repubblica lo ha chiesto a Larry Sabato, direttore del Centro per la politica dell’Università della Virginia e autore di una ventina di saggi.
Professor Sabato, quale sarà l’effetto-Corbyn nella politica americana?
«Innanzitutto va detto che, al di là degli ovvi accostamenti politici, e anche personali, Corbyn è molto più a sinistra di Sanders. Quest’ultimo non ha mai ipotizzato di nazionalizzare alcune industrie-chiave del paese, come invece promette di fare il leader britannico. E Sanders non metterebbe sot- to processo George W. Bush per crimini di guerra, mentre Corbyn minaccia di trascinare in tribunale Tony Blair. Il quale ovviamente non ha nulla da temere, perché con queste nuove posizioni il partito laburista non vincerà mai».
C’è però qualcosa che unisce l’ascesa di Corbyn e il fenomeno Sanders?
«Sì, è la richiesta che parte dai militanti di base dei partiti liberal dell’Occidente di mettere la lotta all’ineguaglianza al centro del dibattito politico, assieme alla loro volontà di non volersi più accontentare di mezze misure per affrontare il nodo delle disparità. E questo determina uno spostamento a sinistra del partito democratico, con una maggiore centralità di temi come la lotta alle diseguaglianze e la riforma della giustizia».
Anche Hillary si sposterà a sinistra?
«Non può: sembrerebbe fasullo proprio in un momento in cui ha promesso all’elettorato più autenticità. Del resto, poche settimane fa ha ammesso di avere posizioni moderate. Certo, è stupefacente come, a dispetto della sua lunga esperienza e dei vantaggi iniziali, Hillary Clinton si sia rivelata finora una pessima candidata ».
Intanto anche i repubblicani si spostano a destra.
«Sì, in blocco. E vale la pena ricordare come, storicamente, qualsiasi spostamento di un partito americano verso posizioni più estreme, allontani le possibilità di una vittoria elettorale».
Pensa che l’affermazione di Corbyn aiuterà Sanders?
«Sarei sorpreso se anche l’un per cento degli americani sapesse chi è Corbyn… No, non avrà alcun effetto elettorale. Potrebbe solo aiutare i democratici a capire come perdere sicuramente un’elezione. D’altra parte non hanno bisogno, per questo, della Gran Bretagna: è sufficiente che si ricordino del liberal George McGovern che nelle presidenziali del 1972 perse contro Richard Nixon in 49 stati su 50. E proprio questo hanno veramente in comune Corbyn e Sanders: nessuno dei due vincerà mai un’elezione nazionale».