domenica 13 settembre 2015

Repubblica 13.9.15
Ultima fermata Budapest
“Da bambina a noi ebrei ci accusavano di avvelenare i pozzi. Ci ripenso ora, in questi giorni governati dall’odio”
Il J’accuse della filosofa ungherese Ágnes Heller
di Ágnes Heller


BUDAPEST I PROFUGHI CONTINUANO AD ARRIVARE in Ungheria. Fuggono dalla distruzione, dalla fame, dalla morte. La maggior parte di loro sono vittime della guerra civile siriana, minacciati dall’Is, l’arcinemico dell’intero mondo civilizzato. Hanno viaggiato, spesso a piedi, per migliaia e migliaia di chilometri per arrivare ai nostri confini. Sono stanchi, affamati, assetati. Arrivano nell’Unione europea dal confine ungherese. Sono i benvenuti? La maggioranza della gente, in ogni parte del mondo, tratta gli “stranieri”, le persone che parlano un’altra lingua, venerano Dio in un altro modo, praticano usanze differenti, con sospetto. Ma odiano gli stranieri, li rifiutano, cercano di liberarsi in fretta di loro solo se vengono incitati a farlo dai leader e dai governi, solo se vengono nutriti di pregiudizi, di ideologie pericolose. L’ho sperimentato personalmente quand’ero bambina: a quei tempi l’antisemitismo e il nazionalismo erano le principali armi ideologiche che usava il governo ungherese per garantirsi il consenso a favore di una guerra micidiale e ingiusta.
Nelle ultime settimane lo spettro di questo passato continua a ossessionarmi.
Il governo ungherese ha dato il via a una campagna di odio contro gli stranieri ancora prima che i profughi siriani arrivassero da noi. In quel momento arrivavano piccoli gruppi di migranti dal Kosovo, ma ben presto hanno smesso. Già allora il primo ministro ungherese ci metteva in guardia contro di loro, attaccando manifesti per strada, spedendo volantini alle famiglie in cui si chiedeva con toni drammatici se volevamo che il governo spendesse soldi per gli stranieri o per i bambini ungheresi. In altre parole ha cominciato ad attizzare l’odio contro lo straniero, accusato di togliere il pane di bocca al popolo ungherese.
La legge proibisce l’incitamento all’odio, ma evidentemente il governo è immune dalla legge.
Quando i siriani e altri profughi hanno cominciato ad arrivare sempre più numerosi, l’arsenale della propaganda è diventato ancora più violento. I profughi erano sospettati di essere potenziali terroristi, o di non essere proprio profughi, ma gente che voleva fare la bella vita a spese degli altri. Il capogruppo di Fidesz (il partito al potere) in parlamento ha dichiarato che non vuole che l’Unione europea diventi il Califfato europeo. Sono anche state messe in giro voci sul fatto che i profughi infetterebbero la popolazione ungherese con malattie sconosciute (e io mi ricordo di quando gli ebrei venivano accusati di avvelenare i pozzi).
Fra le migliaia e migliaia di spettatori che hanno visto in televisione migliaia di profughi con i bambini piccoli che dormivano per strada di fronte alla stazione di Keleti, non poteva essercene qualcuno che sentiva simpatia per loro? Il governo ha deciso di no, ha stabilito che non devono essercene: le reti televisive pubbliche hanno istruzione di non mostrare i bambini profughi.
Tutto quello che sta accadendo in Ungheria è una diretta conseguenza dell’incitamento all’odio. Il partito al potere è in competizione con l’altro partito di estrema destra, lo Jobbik, attualmente all’opposizione. Il bersaglio di questa competizione sono i “migranti”: è una gara a chi li odia di più, a chi li rifiuta di più, a chi se ne sbarazza meglio. Tutti e due i partiti solleticano gli istinti peggiori degli ungheresi, un popolo sfortunato con una storia sfortunata, abituato a ubbidire agli ordini e rimasto ignorante in materie di diritti, di leggi, di libertà. In uno Stato-nazione, il nazionalismo estremo è l’ideologia più utile per conquistare consenso. Entrambi i partiti usano questo strumento come un’arma. Per il partito al governo è solo un po’ più difficile, visto che l’Ungheria, in fin dei conti, fa parte dell’Unione europea e riceve soldi dall’Unione europea, e questo gli impedisce di esprimere apertamente il suo disprezzo per Bruxelles, come fa invece Jobbik. Viktor Orbán, il premier ungherese, è costretto a mostrare un volto per l’Europa e un altro per gli elettori. Qui, a casa, accusa i leader dell’opposizione democratica di essere «amici dei migranti». E questa strategia di nuovo mi fa tornare in mente la mia infanzia: ricordo che quando il Partito socialdemocratico votò «no» alle leggi antiebraiche venne accusato di essere al soldo degli ebrei.
Il governo ungherese ha speso miliardi di fiorini per costruire recinzioni lungo il confine con la Serbia e arrestare così il flusso dei migranti. Ovviamente, come gli esperti avevano preannunciato, queste recinzioni non hanno fermato proprio nulla. Ma questo non importa: la recinzione è servita come arma ideologica per il Fidesz nella sua competizione con lo Jobbik per assicurarsi il consenso della popolazione xenofoba. E questa acrobazia ideologica prosegue: adesso vogliono far approvare dal parlamento una legge che impone di perseguire penalmente tutti coloro che taglieranno la recinzione, e tutti i cittadini che ospiteranno dei migranti nella loro abitazione. Queste leggi (e qualcun’altra in preparazione) non sono solo leggi contro gli immigrati: sono leggi che limiteranno ulteriormente i diritti dei cittadini ungheresi.
Usando tutte le risorse e le energie per una xenofobia istituzionalizzata, il governo ungherese in realtà non ha fatto nulla per gestire la crisi. Chiunque entri nell’Unione europea dev’essere registrato. Questo è giusto. È necessario sapere chi arriva nel nostro territorio. Ma mentre venivano erette barriere inutili e manifesti giganti ci ammonivano a non condividere la nostra vita con gli stranieri, che in ogni caso usano l’Ungheria solo come stazione di transito, nessuna misura veniva intrapresa per accoglierli e inviarli dove volevano andare. Ci sono pochi alloggi, disorganizzati e inadeguati al numero. La registrazione è troppo lenta. Non vengono organizzati servizi di trasporto. Non ci sono interpreti: i migranti vengono bersagliati da testi in ungherese che non capiscono. Non hanno idea di che cosa li aspetta. Se ricevono aiuto, è solo grazie a volontari che distribuiscono da mangiare e da bere. Queste persone stanno riscattando, per quanto possono, la reputazione degli ungheresi.
Caos. A volte i profughi riescono a comprare dei biglietti ferroviari per la Germania facendo ore di fila, ma dopo che li hanno comprati viene proibito loro di salire sui treni. Il più delle volte la stazione ferroviaria viene chiusa ai migranti, che restano lì, in attesa. Ma succede anche che concedano loro di salire su un treno, come ieri. Salgono a bordo con biglietti validi per Monaco di Baviera. Poi il treno viene fermato ancora in Ungheria e ai migranti (passeggeri come gli altri!) viene ordinato di scendere. Il governo accusa i migranti di questo caos.
L’odio continua a diffondersi. E nessuno dovrebbe giocare con lo strumento dell’odio. È pericoloso. Lo sappiamo per esperienza diretta.
È vero che l’Is avrebbe già potuto essere distrutto, se le nazioni civilizzate fossero pronte al sacrificio. Non lo sono. Le bombe non distruggeranno l’Is. E i rifugiati continueranno quindi ad arrivare. L’Europa, il continente responsabile di due guerre mondiali, di distruzioni di massa, di tutte le catastrofi del Ventesimo secolo, il continente che si porta dietro meritatamente la sua cattiva coscienza, deve trovare un modo per gestire la situazione. Senza odio, con comprensione, saggezza e solidarietà. L’Ungheria dà il cattivo esempio. Io spero che gli altri non lo seguano.
(Traduzione di Fabio Galimberti)